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JESOLO - Aveva organizzato tutto. Secondo gli investigatori della polizia, il tunisino protagonista della sparatoria del 26 luglio a Jesolo aveva seguito un piano preciso per mettere in atto la sua vendetta. Aveva studiato la miglior via di fuga e, con ogni probabilità, si era fatto aiutare da un complice su cui ora starebbe indagando la squadra mobile di Venezia. Un’inchiesta piuttosto complicata, soprattutto nelle prime fasi, perché di fatto “l’uomo con la pistola” era un perfetto sconosciuto. Nessun precedente, nessun apparente “appoggio” locale: lui, 28enne tunisino delle banlieue parigine, a maggio aveva lasciato sorella e cognata in Francia per venire in Italia a sostenere il fratello, da poco arrestato per droga. Aveva impiegato un paio di mesi per risalire all’uomo che (secondo lui) l’aveva tradito, un suo connazionale di 36 anni. Da allora il suo unico obiettivo era stato vendicarsi e vendicare il fratello. Il momento migliore era arrivato la sera del 26 luglio in via Verdi a Jesolo: cinque colpi esplosi (uno a segno) e poi via, in auto verso Parigi. Probabile, secondo gli investigatori, che il biglietto aereo Parigi-Tunisi ce l’avesse già in tasca. Da solo, alla guida, ha raggiunto il confine di Ventimiglia. Poi, lì, il cambio auto: è salito su una seconda macchina, con alla guida qualcun altro, e da lì è arrivato fino a Parigi. Un modo per confondere le acque: sarebbe stato impossibile, per lui, attraversare un paese intero senza essere fermato su un’auto ricercata dalla polizia. Ora si sta cercando di capire se questa seconda persona sapesse cosa stava facendo o se fosse stato raggirato dal 28enne. Se faceva parte del piano, ovviamente, si tratterebbe di un complice.
LE INDAGINI
La squadra mobile della questura lagunare, fin dal primo giorno, ha cercato di ricostruire chi fosse il giovane nordafricano.
Il Gazzettino