Marco Martalar: «Ecco i miei draghi e i leoni realizzati con il legno della tempesta Vaia»

Il drago a Lavarone
Vaia è stata la sua fortuna. È brutto da dirsi, perché la tempesta che, nell'ottobre del 2018, ha stravolto le Prealpi Venete e parte delle Dolomiti,...

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Vaia è stata la sua fortuna. È brutto da dirsi, perché la tempesta che, nell'ottobre del 2018, ha stravolto le Prealpi Venete e parte delle Dolomiti, è stata una tragedia ecologica che ha provocato danni incalcolabili. Parlare di fortuna sembra quasi blasfemo. In poche ore sono stati abbattuti oltre 42 milioni di alberi. Una quantità immensa di legno. Una miniera per Marco Martalar che da anni faceva lo scultore nel modo classico: intagliando e scavando il legno. L'idea, che ha dato una svolta alla sua carriera di artista, portandogli notorietà e successo, è stata il modo di utilizzare quella valanga di legno. Non per scolpire, ma per ricostruire, come se fosse un puzzle da ricomporre.


«In quei giorni, camminando nei boschi vicino a casa mia a Mezzaselva, ho visto le proporzioni della tragedia, tronchi d'albero ovunque. Un mare di legname, ma anche un prato di trucioli, pezzi spezzati, legnetti, che mai nessuno avrebbe recuperato. Guardando quello scempio, mi è venuta l'idea di provare a dare una nuova vita a quelle macerie. Creare delle sculture partendo dai frammenti. Un processo opposto a quello che avevo usato fino a quel momento. Così mi sono messo a raccogliere pezzi che poi unisco e inchiodo per dare forma alle mie opere. Mi affascina l'idea di recuperare ciò che è stato distrutto».


LE CREAZIONI
La prima creatura, nata dagli scarti di Vaia, è stata un gigantesco leone. Scelta simbolica che è stata decisiva per far conoscere Martalar, come lui stesso racconta: «Ho scelto di realizzare un leone, perché lo vedevo come elemento di unione tra la montagna e Venezia, che è costruita sul legno. Quando ho finito di inchiodare i pezzi mi sono reso conto che era davvero originale, non dovrei dirlo io, ma era proprio bello. Mi sono fatto coraggio e ho mandato un po' di fotografie in Regione, chiedendo se fossero interessati ad esporre l'opera da qualche parte. Incredibile, mi hanno offerto la platea della Mostra del Cinema, che ha come simbolo proprio il leone». Un mix di suggestioni: Venezia, il leone, il cinema, il legno di Vaia. Quello è stato il trampolino di lancio, i critici hanno cominciato ad apprezzare la tecnica a collage di Martalar e il suo leone a viaggiare. L'opera era richiesta un po' ovunque. Per mesi campeggiava in Altopiano prima di entrare ad Asiago. Ora è tornata a riposare fuori dal laboratorio artistico di Martalar a Mezzaselva. Mostra già il peso degli anni, la criniera è ingrigita.
«Le mie opere sono come l'uomo, invecchiano e durano finchè c'è vita. Sono fatte di legno non trattato e sono soggette all'usura. L'acqua in particolare schiarisce il legno. Io lascio che vivano il loro destino. Prima o poi tutto ha fine». Il leone è stato capostipite di una serie di animali che hanno ispirato l'artista. Un grande gallo ora è esposto fuori dal Comune di Gallio, altra località dell'Altopiano gravemente colpita da Vaia. Un drago alato invece domina i boschi dell'Alpe Cimbra di Lavarone. È alto più di sei metri, lungo sette e pesa oltre una tonnellata.


LA RINASCITA
Anche questa scultura è stata realizzata con i resti dell'abete rosso abbattuti da Vaia, ma l'artista ha voluto legarla ancor di più al territorio utilizzando anche alcuni pezzi dell'Avez del Prinzep, l'abete bianco più alto d'Europa, morto nel novembre 2017 di vecchiaia. Il drago in breve è diventato l'attrattiva di Lavarone: nella scorsa estate la processione di persone che si è recata a vederlo da vicino è stata ininterrotta. I turisti arrivano per vedere la gigantesca scultura dando un buon impulso all'economia locale: è nata anche una birra con il drago come marchio, sono stati aperti alcuni chioschi. Altri comuni si sono fatti avanti per esporre i lavori di Martalar. «Devo riconoscere che le richieste di realizzare altre opere non mi mancano - racconta lo scultore - ho una trentina di proposte. Adesso sto finendo un'aquila per un privato. Mi hanno chiamato persino in Sardegna per realizzare qualcosa con i resti del legname bruciato dai roghi dolosi».


LA BIOGRAFIA
Martalar, montanaro di 51 anni dai modi gentili, nella vita ha fatto di tutto, giardiniere, meccanico, operaio, ma sentiva che aveva qualcosa dentro da esprimere. Per lui l'arte deve essere in armonia con la natura. Ancor prima di Vaia aveva pensato ad una simbiosi tra il bosco e l'arte. Nel 2016 ha dato vita al progetto Selvart, chiamando una ventina di artisti a realizzare qualcosa utilizzando il legno e la pietra del monte Erio, a pochi chilometri da casa sua. Un po' alla volta si è materializzato un affascinante percorso disseminato di sculture e realizzazioni artistiche di vario genere. Arte a chilometro zero, si potrebbe dire. Purtroppo anche il monte Erio è stato pesantemente colpito da Vaia e molte opere sono state danneggiate dalla caduta degli abeti rossi. «Ero incerto se proseguire nel progetto, ma anche in questo caso ho capito che bisognava accettare il volere della natura. Selvart continua il suo cammino ed altri artisti verranno a sostituire le opere danneggiate o distrutte dalla tempesta».


IN CIMA
Sull'Altopiano di Asiago, a distanza di oltre tre anni dal grande vento che soffiava fino a 200 all'ora spazzando i boschi, i camion continuano a portare a valle tronchi d'albero e il rumore delle seghe elettriche squarcia il silenzio. Ovunque cataste di tronchi. La visione delle cicatrici tra i boschi decimati dal vento lascia attoniti. «Ma la natura è più forte - tranquillizza lo scultore ambientalista - durante le mie camminate vedo già una selva di alberelli che stanno spuntando, anche se ci vorranno anni prima che il paesaggio torni come quello che ha preceduto la tempesta. Per quanto riguarda il materiale per le mie opere, credo che continuerò a trovarne ancora per molto tempo. Vorrei restare disoccupato per mancanza di materia prima, però non corro questo rischio. Vaia è stata una tragedia di cui molti ancora non hanno capito le proporzioni. Spero che anche le mie sculture servano a ricordare quanto è accaduto. La natura ci ha lanciato un segnale che non possiamo ignorare».


 

 

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Il Gazzettino