Quell'inferno di alcol e droga, i misteri del doppio suicidio: lui si sarebbe ucciso per primo

Michele Schiavon e Valentina Costa
PADOVA - Da una vita serena a una d'inferno, passando per la cocaina, l'eroina e l'alcol. E poi la fuga guardando per l'ultima volta quelle pareti di una casa...

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PADOVA - Da una vita serena a una d'inferno, passando per la cocaina, l'eroina e l'alcol. E poi la fuga guardando per l'ultima volta quelle pareti di una casa vuota di via San Giovanni da Verdara, in pieno centro storico a Padova, segno di un'agiatezza ormai passata. Perché la vita di Michele Schiavon era cambiata dai tempi in cui sorrideva mentre si faceva una foto prima della partita di pallone, di quando festeggiava i compleanni delle figlie accarezzando la moglie.

I RITRATTI

Il presente era diverso. Era una casa in un quartiere di periferia condivisa con l'anziana mamma, l'ex moglie, le figlie e la nuova compagna, quella Valentina che prima di stringersi, anche lei, un cappio al collo e di lasciarsi andare nel vuoto, forse ha un ripensamento e chiama un amico e pure un'ambulanza. Ma anche per lei, che di anni ne ha 36, diciotto in meno di Michele, l'inferno è già arrivato: ed è fatto di eroina, cocaina e alcol cui, nonostante la decisione di andare in cura al Sert, continua a tormentarla. Un domani non esiste. Resta solo la disperazione per quella vita normale che un tempo esisteva. E che entrambi volevano riconquistarsi, aggrappandosi a tutti: anche all'ex moglie di Michele che quando ha saputo quel che era accaduto nella sua casa a due passi dall'ospedale militare è scoppiata in lacrime. Perchè a Michele ci teneva ancora. E si erano aggrappati anche alle figlie che ancora oggi ripetono in lacrime: «Papà non l'abbiamo mai abbandonato nonostante i suoi problemi. No, gli eravamo tutti vicini». E la stessa cosa è per la famiglia e gli amici di Valentina. Mamma, papà e sorella sono chiusi nel loro dolore a Legnaro, dove era nata e cresciuta prima di trasferirsi a Padova con il suo cagnolino, a casa di Michele, l'uomo conosciuto in un bar un anno fa che le aveva rapito il cuore. «L'abbiamo aiutata in tutto, l'abbiamo accompagnata al Sert perchè voleva cambiare. Ma l'alcol... l'alcol... Non ce lo riusciamo a spiegare cosa sia successo in questi ultimi giorni» ripete un'amica della 36enne. Sì, perchè Valentina e Michele hanno posto fine alla loro vita nell'antico palazzetto di famiglia dell'ex moglie di lui, in centro storico e ben distante dalla casa comune dove risiedevano, nella periferia Nord della città del Santo, Voltabarozzo.

LA RICOSTRUZIONE

La coppia sarebbe arrivata nell'abitazione di via San Giovanni da Verdara venerdì scorso e avrebbe vissuto senza mobilio, senza energia elettrica, senza riscaldamento per tre giorni, prima di togliersi la vita. «Come si fa a vivere così? Come facevano a ricaricare i cellulari che poi hanno sicuramente utilizzato tanto che Valentina ha chiamato un amico per informarlo che Michele si era impiccato? Che poi, chi è questo amico? Di noi amici veri nessuno» commenta angosciata un'altra amica di Valentina che assicura che «non sarebbe mai stata in grado di prendere una corda, figuriamoci farci un nodo e buttarsi giù. Aveva terrore del male. Le ultime parole che mi ha detto, pochi giorni prima di morire, non erano affatto quelle di una persona che sta meditando di suicidarsi. Anzi. Voleva vivere, vivere meglio». Ed effettivamente gli ultimi mesi li avevano visti cambiati: nel loro passato c'erano stati dei momenti di oscurità, da cui però entrambi sembravano usciti. Lui da maggio non toccava un goccio, lei era entrata al Sert proprio con la voglia di allontanare da sé lo spettro delle dipendenze che a volte aveva la meglio sulla sua volontà. Negli ultimi giorni, invece, tutto è precipitato e il ciclone fatto di alcol, eroina e cocaina si è abbattuto in maniera definitiva sulle loro esistenze. Quel che resta delle vite raccontate dalla famiglia e dagli amici è l'orrore davanti al quale si sono trovati carabinieri e infermieri quando hanno aperto quella porta e hanno scoperto i due corpi appesi alla ringhiera delle scale. Ipotesi di reato: omicidio. Così ha scritto il pm Cristina Gava sul fascicolo per avere tutta la libertà processuale del caso, per poter fare luce su ogni aspetto, compresa l'autopsia che avverrà lunedì. Perchè è un suicidio che lascia tanti interrogativi. E perchè nonostante Michele Schiavon e Valentina siano rimasti chiusi in quella casa per tre giorni non hanno lasciato nemmeno un biglietto e inviato un ultimo messaggio per spiegare le ragioni. O forse non ce n'era nemmeno bisogno. Tra i dubbi c'è anche quello che la coppia dovesse a qualcuno dei soldi, forse per la cocaina e l'eroina. Forse si sono trovati con le spalle al muro: il lavoro da meccanico all'aeroporto di Padova non poteva bastare. E certo quella casa lussuosa del centro storico, intestata all'ex moglie ma ormai disabitata, non poteva servire a nulla. Forse Michele si è sentito senza via di uscita. E quando Valentina lo ha visto lanciarsi nel vuoto pure lei si è sentita alla fine della corsa: la telefonata, poi il buio. E anche lei si è stretta una fune al collo.

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Il Gazzettino