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ARSIÈ (BELLUNO) - Dopo 3 anni di indagini suppletive sul caso della bellunese scomparsa in India e quasi 10 anni di ricerche, il caso viene chiuso. Katia Mores originaria di Arsié e residente a Padova, oggi avrebbe 60 anni. Ne aveva 50 quando sparì dopo essere arrivata a Puttaparthi il 26 Febbraio 2013: da allora si sono perse le sue tracce, i genitori non l'hanno più sentita e dopo quel giorno non c'è stato alcun movimento bancario. La storia ha assunto i contorni di un giallo quando si è venuti a sapere che Katia dormiva nell'appartamento dove ha vissuto anche Toni Anna Ludgate, una turista derubata e uccisa nel 2014. È allora che è caduta definitivamente l'ipotesi di scomparsa volontaria e si è pensato ad un omicidio legato alla attività commerciale che la bellunese voleva aprire o a una rapina finita male, visto che aveva con sé 3mila euro.
LA RICERCA
I genitori l'hanno cercata a lungo, mettendo in palio anche una ricompensa di 50mila euro per chiunque avesse dato notizie della figlia: purtroppo nessuno ha risposto. Essendo molto anziani volevano morire in pace, sapendo cosa fosse accaduto alla loro ragazza.
LA SCOMPARSA
Quello che è stato ricostruito nella denuncia di scomparsa della bellunese ha i contorni di un vero e proprio mistero. Katia Mores, figlia dei coniugi di Arsiè tornati dopo una vita di lavoro in Svizzera, viveva a Padova nell'appartamento di via Bramante 2 A. Lavorava come commessa nel negozio la Pantera di via Zabarella, ma quando l'attività chiuse i battenti, a fine 2012, si prese una pausa di riflessione: raccolse i denari che aveva e decise di partire per l'India. Aveva una passione per il santone indiano Sai Baba: il 26 febbraio del 2013 si imbarca su un volo di linea Emirates da Venezia e sbarca a Bangalore (India). «Resterò in India due mesi», aveva detto alle amiche. In realtà dal giorno dopo il suo arrivo, il 27 febbraio 2013, non si hanno più notizie. Uccisa a scopo di rapina? In realtà i misteri sono tantissimi: dall'amico che si fa vivo e spiega che nel precedente viaggio qualcuno stava sorvegliando Katia. Da informatori arrivati persino dalla Russia che sui social dicevano: «Katia è morta». Fino all'amico della donna, un tibetano di nome Timba Wangtun (detto Baba) che aveva un negozio in Chittravati Road a Puttaparthi, l'ultimo che l'avrebbe vista, ma che sarebbe sparito nel nulla.
L'INCHIESTA
Fin da subito la famiglia, di fronte all'immobilismo della polizia indiana e della Farnesina, assoldò un detective privato per cercare di far luce sulla scomparsa della donna. Poi anche il detective lasciò perdere perché ricevette minacce. Da allora passarono 6 anni e solo nel 2019 la polizia indiana iniziò ad indagare, sollecitata dall'ambasciata dopo la denuncia di scomparsa, presentata dai parenti nel 2016. «Tre anni fa - racconta l'avvocato Roberta Resenterra - la polizia indiana si era messa in contatto con me per sapere se Katia era tornata in Italia, e due anni fa mi aveva inviato un questionario per avere ulteriori informazioni sulla scomparsa».
«IRREPERIBILE»
Da allora ci sarebbero stati tre anni di indagini della polizia indiana, ma il quadro non è cambiato. «Il 21 settembre - spiega l'avvocato Resenterra - la polizia mi ha comunicato che nonostante tre anni di indagini, dal 2019 al 2022, non è emerso alcun elemento utile e pertanto il caso viene trattato come una persona undetectable, cioè irreperibile, e le indagini saranno riaperte solo se dovesse emergere qualche nuovo elemento utile». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino