VO’ Essere carabiniere ai tempi del Coronavirus, nel paese “blindato” di Vo’, non vuol dire solo far rispettare l’ordinanza del premier Conte. Vuol...
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Comandante, com’è cambiato il vostro lavoro da quando si è piombati in questa emergenza?
«Noi carabinieri siamo a contatto con le persone tutti i giorni, a maggior ragione in questi momenti. Alla fine, viviamo tutti assieme. Capisco che per le persone di Vo’ non è facile da affrontare la situazione. Sono con loro tutto il giorno e vado a casa solo alla sera. Per me è un ritorno alla “normalità”, mentre loro sono costretti a rimanere nell’area del loro comune. Non è semplice».
Quel venerdì, quando si è avuta notizia prima dei contagi e poi della quarantena, come hanno reagito i cittadini?
«Ci chiedevano cosa stava succedendo, quali sarebbero stati gli sviluppi. Erano preoccupati chi per la propria attività lavorativa, chi per le proprie esigenze di natura sanitaria, e chi per la propria famiglia, visto che qualche parente era fuori dal comune. Il nostro compito è quello di dare informazioni utili, indirizzarli nel modo più corretto e cercare di rasserenarli».
Com’è la giornata sua e dei suoi carabinieri in questi giorni di quarantena e checkpoint?
«Io e i miei militari siamo sempre a Vo’, mattina e sera. Stiamo ai checkpoint e una pattuglia perlustra sempre il territorio. Prestiamo particolare attenzione a chi sta nei posti più periferici, dove il disagio è più elevato rispetto a chi sta in centro».
Com’è il lavoro al checkpoint?
«Non è solo un lavoro di sicurezza. Cerchiamo anche di aiutare sia chi sta dentro che chi sta fuori, risolvendo problemi quotidiani della gente comune».
Ad esempio?
«Beh, qualche giorno fa un papà, che abita fuori da Vo’, è venuto da noi per far recapitare alla sua bambina, che invece è in quarantena a casa dei nonni in paese, giocattoli e libri da leggere. Ma poi ci sono stati i due cagnolini che avevano bisogno del veterinario: li abbiamo accompagnati fin dal medico che è venuto a recuperarli al checkpoint. C’è stato addirittura chi ha chiesto la pizza, visto che qui è tutto chiuso. Qualche amico l’ha portata all’ingresso del varco e noi l’abbiamo allungata a chi l’aspettava qualche metro dietro le transenne. Essere carabinieri vuol dire essere vicini ala gente, anche in queste cose».
Come vede le persone costrette a rimanere a Vo’?
«All’inizio c’era più preoccupazione e ansia. La domanda era “Possibile che sia capitato a noi?”. Poi con l’avvio dello screening le cose si sono stabilizzate. La gente è collaborativa e sta affrontando le cose in maniera pacifica e tranquilla».
Quanto tutto sarà finito, cosa le resterà in mente?
«Il grande cuore di alcune persone che si sono offerte di aiutare. E la solidarietà di chi sta dentro a Vo’. Questa quarantena ha fatto avvicinare le persone. Direi che si è creata davvero una grande famiglia. E poi è strano vedere i ragazzi tornare a giocare per le strade e tutti i cittadini in piazza a passeggiare e a chiacchierare. Un giorno magari, alla fine di tutto, ci si troverà a ricordare questi momenti tutti assieme, magari seduti a tavola».
Marina Lucchin Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino