Don Luca per tre ore davanti ai giudici diocesani: «Aiuterò gli ultimi anche senza la Chiesa»

DON FAVARIN - Prima udienza davanti al tribunale ecclesiastico
PADOVA - L’altra notte ha accolto un ragazzino. Solo, disperato e senza un tetto. Uno dei tanti che poliziotti, vigili e assistenti sociali gli portano. E dopo averlo...

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PADOVA - L’altra notte ha accolto un ragazzino. Solo, disperato e senza un tetto. Uno dei tanti che poliziotti, vigili e assistenti sociali gli portano. E dopo averlo sistemato ieri mattina è andato all’appuntamento che cambierà, anche se solo sulla carta, la sua vita: l’udienza davanti al Tribunale ecclesiastico di via Dietro Duomo, prima tappa del percorso che lo riporterà allo stato laicale, dopo che il 17 dicembre era stato sospeso a divinis da monsignor Claudio Cipolla.


Luca Favarin, infatti, ha trascorso tre ore con i giudici diocesani, ai quali ha riferito nei dettagli l’attività che svolge con la Cooperativa Percorso Vita onlus, che si occupa di accoglienza e che gestisce la caffetteria dietro ai Musei Civici, il ristorante “Strada facendo” e l’enocichetteria “Versi riBelli” all’Arcella.
Proprio le iniziative avviate dall’ex sacerdote con l’intento di dare lavoro a tanti ragazzi in difficoltà erano state una delle cause della frattura con il vescovo e con la Diocesi, che appunto avevano contestato il suo operato in campo sociale e imprenditoriale, mentre nel contempo innumerevoli attestazioni di solidarietà erano arrivate dal mondo del volontariato.
Prima di entrare nell’aula del Tribunale situato nel Palazzo della Curia l’ex don ha postato sul suo profilo facebook un selfie, con una riflessione in cui ribadisce che resterà sempre accanto ai suoi ragazzi. 


I DETTAGLI
«Intanto - ha spiegato - preciso che io continuo a fare esattamente tutto come quando ero prete. C’è il decreto di sospensione a divinis e ieri è iniziato l’iter processuale che ha comportato una deposizione da parte mia, nel senso che ho risposto a una trentina di domande su quello che è stato finora il mio percorso: l’ho raccontato per filo e per segno, sottolineando i 20 anni di silenzio dell’autorità ecclesiastica. Ma per la profondissima fede che ho in Gesù Cristo e per la mia igiene mentale ritengo improponibile accettare che vengano considerate “attività imprenditoriali” le iniziative che facciamo per gli ultimi. Non c’è alcun rispetto per le centinaia di notti trascorse in strada, incontrando tanti poveri disgraziati, senza che gli alti prelati della Chiesa padovana abbiano mai presenziato: con noi sono venute centinaia di persone e di volontari, ma non loro». Luca Favarin, poi, rincara la dose e aggiunge. 
«Ho ricordato al Tribunale ecclesiastico che nessuno, tantomeno il vescovo, ha voluto vedere la nostra sede nel quartiere Sacro Cuore, a pochi minuti di distanza dal Duomo. Il giudizio che hanno espresso, quindi, si basa su sentito dire. Per loro il problema è solo il ristorante “Strada facendo”, aperto 5 anni fa, dove lavorano i migranti, nell’ambito di un progetto sociale finalizzato a dare un’occupazione a persone che poi si integrano. È evidente che i dipendenti non posso pagarli con… il rosario, ma con uno stipendio. Dicono che è un’attività imprenditoriale senza la loro autorizzazione, per cui a questo punto dico basta».


IL FUTURO
Che cosa succederà ora? «In udienza - ha risposto - ho detto in maniera chiara che ho deciso di interrompere con loro. E siccome hanno affermato che quello che faccio non c’entra con la Chiesa, vado avanti da laico. Usando una metafora, è come una sorta di “istigazione al suicidio”, nel senso che ho scelto io di non essere più sacerdote, ma hanno fatto di tutto per indurmi a questa determinazione. Non posso certo rinunciare a quello che sto facendo, accogliendo minori tutti giorni e tutte le notti, in situazioni drammatiche. La nostra è una realtà importantissima per il territorio, il punto di riferimento più rilevante per l’accoglienza degli ultimi. Non ci credono? Vengano a vedere, senza interagire non possono sapere».


«Alla mia deposizione - ha concluso - seguirà quella di 4 testimoni da me indicati e poi fine, ognuno per la sua strada. Le pratiche finiranno in Vaticano e fra 6 mesi mi arriverà la letterina con cui mi comunicheranno che sono a tutti gli effetti allo stato laicale. Oggi tecnicamente ora sono ancora prete, ma di fatto no, perchè non posso fare nulla. Sono sconvolto per l’accusa di “imprenditorialità”, anche se sapevo che questa poteva essere un’evoluzione possibile, perchè sentivo indifferenza e diffidenza. Ribadisco con forza la scelta di incontro con la povertà estrema, che è la cosa più importante della mia vita. Non posso farla a nome della Chiesa? La farò nel nome di Dio e degli uomini. E io resto una persona con una Fede profondissima». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino