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PORDENONE - Un difetto di querela e spariscono 40 dei 122 capi d'imputazione per la banda delle ruspe, parte seconda: Maricel Borsan, 27 anni, Marius Sociu (23) e Iulian Gicu Dobre (25), i tre romeni che si trovano in carcere per scontare una pesante condanna, 24 anni e 10 mesi ciascuno, dopo che il tribunale collegiale di Pordenone li ha ritenuti responsabili di decine di raid in case, aziende e cantieri; di spaccate e assalti con le ruspe ai distributori di benzina. Martedì pomeriggio il gup Monica Biasutti li ha rinviati a giudizio per un'altra lunga serie di furti e spaccate con le stesse modalità di quelli precedenti. Ma dei 122 capi di imputazione contestati dalla Procura il trio, difeso dall'avvocato Alessandro Magaraci, dovrà rispondere "solamente" per 82. La banda ha viaggiato tra Veneto, Friuli, Emilia Romagna e Lombardia, facendo dei raid il loro mestiere di vita. Abili nelle fughe, che cercavano di pianificare nel dettaglio, hanno però perso il loro quarto uomo nella notte tra il 25 e il 26 marzo 2021, quando Stanica Broasca è annegato a 27 anni mentre cercava di attraversare a nuoto l'Isonzo. Ma non si sono fermati e hanno continuato con le loro scorribande, condite con furti di automobili, di ruspe, di estintori che hanno utilizzato come fumogeni oppure oggetti da lanciare in strada per fermare l'inseguimento delle forze dell'ordine che li avevano intercettati. Ma non hanno disdegnato nemmeno le ruberie di telefonini, occhiali, bevande e cibarie di vario tipo. Quello che volevano se lo prendevano, la Procura ne è convinta. Tanto che la banda, visto il rinvio a giudizio deciso dal gup, dovrà tornare davanti ai giudici per ascoltare un altro verdetto.
LA SECONDA PUNTATA
Degli 82 capi d'imputazione, per i quali i tre romeni dovranno comparire il 5 dicembre in tribunale, una decina riguardano Friuli Venezia Giulia e Veneto.
IL MODUS OPERANDI
Le "gite" in Italia dei tre romeni erano programmate nel dettaglio e le loro notti un susseguirsi di colpi senza sosta. La banda arrivava dalla Romania al confine italo-sloveno, dove rimaneva sempre uno di loro, vicino a un'auto per essere pronto alla fuga. Nel frattempo i complici, dopo aver rubato una vettura, iniziavano i loro raid non prima di aver abbandonato la prima auto rubata vicino al confine. Furti con modalità devastatrici, disse il procuratore Raffaele Tito raccontando i colpi della banda che sradicava letteralmente le colonnine del self-service dall'asfalto per poi abbandonare auto e ruspa rubate e infine fuggire tra i campi, dormendo e vivendo in mezzo al nulla in attesa di poter agire nuovamente.
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Il Gazzettino