Non esiste una lingua veneta. Lo ripete. E non teme che la accusino ancora di essere negazionista o la chiamino a casa minacciandola. Come fecero anni fa quella della Liga veneta...
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Giuro che non la minacceremo, ma il dialetto è cultura?
«Se per cultura intendiamo trasmissione orale allora il dialetto è una fetta grossa»
Cosa è cambiato dai tempi di Andrea Zanzotto e Dino Coltro?
«Il dialetto può considerarsi importante parte della cultura del Veneto purchè si capisca che - da un certo punto in poi - è andato di pari passo con l'italiano. Un mio vecchio contadino diceva: sia beo o no ma fora de casa l' omo se cambia de abito. È così con dialetto e italiano».
Dobbiamo sempre parlare di dialetti?
«Solo a Mirano dove vivo ce ne sono due, quello dei contadini parlato a bocca aperta e della nobiltà di piazza, di bottegai, artigiani e commercianti che disprezza(vano) il parlato a cento metri di distanza, coesistendo podesto con poduo, savesto/savuo, piter/pitaro. Fuori del borgo storico i modelli padovani. Mirano centro si piccava di usare il modello veneziano perché nell'800 il centro borghese era veneziano e prima ancora c'erano i nobili con le loro ville che si muovevano da Venezia».
Dialetto bellezza od ostacolo?
«Spesso è letto come pregiudizio e differenziazione. Il dialetto invece è elogio di diversità: diventa negativo se non si capisce quel valore».
L'insegnamento della dialettologia ha compiuto 50 anni
Sì, ma adesso sta andando a remengo, sostituita da storia della lingua o grammatica. Io volevo laurearmi in greco antico. Poi trovo Cortellazzo e la sua passione trasmessa nelle lezioni su dialetti; uomo profondissimo, pieno di umanità. Uno di città però: spesso alzavo la mano e dicevo che in campagna parole e lingua erano differenti da come lui spiegava. Un giorno mi offre un caffè e mi dice: lavori con noi per dimostrare le sue idee».
Così
«Nasce la mia tesi: centinai di interviste ai miranesi da 80 a 16 anni di diversi strati sociali per capire come vivessero la dialettalità negli anni 70. Ma quando andavo a Mestre per dire ragazzo usavo toso e non fio, parlavo come un boaro, un contadino.
Com'è investigare nel dialetto?
«Mi dicevano di sì e all'appuntamento non aprivano e stavano dietro porte e finestre. Il dialetto è intimità, non è facile mostrarlo. Mi aiutavano intermediatori del paese. E quella volta che ho cominciato, allora signor Buso mi dica... Quello reagisce. Non avevo capito che nane buso era un soprannome da paese, ridanciano; che gaffe».
La tesi passa e quei materiali
«Li pubblica il comune di Mirano. A rivederli si potrebbe dire che una volta gli extracomunitari erano i contadini».
Con questo bagaglio porte aperte all'Università?
«Macchè, volevo insegnare, faccio domanda e dimenticando una firma mi assegnano un posto a Burano dove il preside dice: si trovi una stanza qui. Cambio idea in un giorno e ritorno da Cortellazzo. Professore mi vuole ancora?».
Diventa una delle dialettologhe più note: la lezione di Cortellazzo?
«Quella di una bellezza che non siamo riusciti a coltivare forse per questioni accademiche. Aveva un'enorme apertura, una tecnica favolosa nel capire e spiegare qualsiasi forma del dialetto; e come servisse studiare letteratura, teatro e commedia e lingue del 500 che capire quanto composita la società di quel momento».
È Cortellazzo a organizzare l'Atlante Linguistico Mediterraneo con la Fondazione Giorgio Cini
L'impresa geolinguistica forse più ambiziosa della seconda metà 900 e forse anche il caso più clamoroso della dialettologia europea degli ultimi decenni. Parteciparono alcuni dei maggiori linguisti europei di quegli anni».
Da tempo il dialetto è una clava usata dalla politica.
«In nome del dialetto ci sono state troppe finzioni: in pochi hanno voglia di dire questo. Anche il bellunese Giovanni Battista Pellegrini (morto nel 2007) studioso del ladino fu offeso a lungo. C'è chi usa i dialetti come bandiere invece di guardarne la dimensione umana; o come steccato; o spesso per avere soldi, poi usati male».
Invece è permeabilità
«Leggevo sul Gazzettino le contestazione alle prove Invalsi perché un insegnate ha fatto scrivere qualcosa in dialetto e non in lingua veneta. Lingua veneta? Roba inventata, al di fuori di ogni altro senso, non esiste e lo ripeto».
La continuano a sfidare, vero?
«Di recente anche Franco Rocchetta, una tenzone pubblica sul vostro giornale, voleva. Andatevi a leggere i miei studi ho risposto. Ci sono tutti gli atti di Sappada pubblicati che mostrano cosa siano i dialetti, non solo nel Veneto ma in tutta Europa».
C'è qualcosa che col dialetto non si può fare?
«Rispondo con un maestro contadino. Diceva: sa siora che col nostro dialetto se capimo e parlemo di tutto anche della Camera di Roma. In sostanza: se gli altri non voglio capirci è altra questione».
Il dialetto è impoverito?
«No è vivissimo e cambia sempre. Se in passato non si faceva sentire (e anzi è stato soffocato per alcune generazioni) è perché certe classi sociali avevano solo il silenzio e non potevano parlare, come l'inglese per gli anziani adesso. Anch'io parlo il dialetto solo con alcuni amici: ogni lingua ha il suo posto». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino