PORDENONE - Nonostante una sintomatologia piuttosto evidente, il lavoro diagnostico dell'equipe medica del reparto di Pneumologia dell'ospedale Santa Maria degli Angeli di...
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GLI SVILUPPI Nel 2016 la famiglia del 60enne si è rivolta all'avvocato del foro di Treviso Michela Sabatini, avviando una causa civile di fronte al Tribunale di Pordenone per ottenere un risarcimento danni di mezzo milione di euro. Allora si parlava di «diagnosi errata», mentre il Tribunale di Pordenone, il 31 ottobre ha certificato un ritardo di circa tre mesi nello svolgimento delle procedure di analisi finalizzate a rintracciare nel paziente l'immunodeficienza.
Maurizio Scomparcini probabilmente sarebbe morto lo stesso, ma una diagnosi tempestiva da parte del personale del reparto di Pneumologia dell'ospedale di Pordenone avrebbe potuto regalargli qualche mese in più di vita o in ogni caso un decorso caratterizzato da un livello di sofferenza minore. «È certo che un lavoro migliore avrebbe potuto allungare la vita al paziente», ha detto l'avvocato Michela Sabatini commentando l'esito della causa civile contro l'Azienda sanitaria di Pordenone.
IL QUADRO Due le conclusioni: primo, l'ospedale di Pordenone - e nello specifico i medici del reparto di Pneumologia - è stato ritenuto colpevole dal Tribunale, perché la diagnosi doveva essere effettuata nettamente in anticipo rispetto a quanto è avvenuto; secondo, il risarcimento assegnato è nettamente inferiore rispetto alla richiesta della famiglia di Scomparcini, perché le condizioni del paziente sono state considerate gravi a tal punto da definire il quadro come compromesso. Scomparcini - questo ha voluto dire il giudice - non poteva più essere salvato, ma un'attenzione maggiore da parte dei medici pordenonesi avrebbe potuto quantomeno allungargli la vita. La moglie dell'uomo, allora 36enne, aveva ottenuto il trasferimento del congiunto all'ospedale di San Donà di Piave, dove però a diagnosi avvenuta il personale sanitario dopo pochi giorni aveva assistito al decesso del 60enne.
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Il Gazzettino