Maritan: «È stata legittima difesa» ma il boss va in cella per omicidio

VENEZIA - Quei colpi al collo di Alessandro Lovisetto erano per uccidere. E l’accusa a carico di Silvano Maritan resta di omicidio volontario. Così ha deciso il...

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VENEZIA - Quei colpi al collo di Alessandro Lovisetto erano per uccidere. E l’accusa a carico di Silvano Maritan resta di omicidio volontario. Così ha deciso il giudice per le indagini preliminari di Venezia, Roberta Marchiori, che ieri ha convalidato l’arresto dell’ex boss della Mala del Brenta, disponendo la sua custodia cautelare in carcere. Una decisione arrivata al termine del lungo interrogatorio reso da Maritan che, assistito dagli avvocati Giovanni Gentilini e Giovanni Belsito, si era appellato alla legittima difesa. Per oltre un’ora, blocco degli appunti alla mano, come faceva ai tempi dei processi alla Mala, l’ex boss aveva fornito la sua versione della tragedia di domenica scorsa, a San Donà di Piave.

Sarebbe stato Lovisetto ad aggredirlo alle spalle, lui si sarebbe difeso dai pugni e dai calci che gli sferrava l’altro, a cui aveva strappato l’oggetto che teneva in mano: quel multiuso con cavatappi e lama che aveva poi fatalmente colpito la carotide della vittima. Ebbene, Maritan ha ripetuto di aver brandito quell’oggetto solo per difendersi e di non essersi reso conto di aver colpito alla gola Lovisetto. Ha precisato di aver perso gli occhiali e, nella concitazione di quei momenti, di non aver visto dove colpiva. «Non c’è movente in questo reato - ha riferito l’avvocato Belsito - perché è legittima difesa. Non è un omicidio volontario. E non è un omicidio passionale». Una delle piste battute fin dai primi momenti, visto che Lovisetto era il nuovo compagno di Laura Moschino, la donna che per anni era stata a fianco di Maritan. «Una storia finita - continua l’avvocato Belsito - Maritan non aveva ragione per colpire Lovisetto».
Davanti al gip i difensori avevano cercato di smontare anche le testimonianze di chi aveva visto Maritan brandire la lama, sostenendo che nessuno aveva assistito alle fasi iniziali dell’incontro. Rilevanti, secondo i difensori, anche le caratteristiche fisiche dei due: Lovisetto alto un metro e 90, per oltre 100 chili, 53enne, a fronte di un Maritan più basso di una decina di centimetri e 70enne. Argomentazioni per cui i due avvocati avevano chiesto la scarcerazione o, almeno, gli arresti domiciliari. Argomentazioni che, alla fine, non hanno convinto il giudice che ha convalidato e disposto la custodia in carcere. Resta confermata, così, la ricostruzione della Procura, forte delle testimonianze e di quei colpi alla gola. Un altro tassello importante potrà ora arrivare dall’analisi dell’arma utilizzata. Sono in corso le analisi per capire chi e come l’ha maneggiata. Se non saranno trovate tracce di Lovisetto, la ricostruzione fornita da Maritan perderebbe definitivamente qualsiasi credibilità. Diverso il caso in cui la lama risultasse essere stata impugnata anche da Lovisetto.

Uscito dal carcere nel settembre scorso, Maritan aveva finito di scontare gli oltre trent’anni di pene definitive per omicidi e droga, ma era ancora ritenuto pericoloso dal Tribunale di sorveglianza che gli aveva imposto la libertà vigilata. Forse anche per dimostrare la sua volontà di cambiare vita, proprio in questi giorni, attraverso l’avvocato Belsito, aveva preso contatti con la Caritas per prestare servizio come volontario. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino