Ex moglie uccisa a coltellate, condanna "mini" senza aggravanti: il pm ricorre

Maria Archetta Mennella, detta Mariarca, la vittima
VENEZIA - È stata impugnata in Cassazione dalla Procura della repubblica di Venezia la sentenza di primo grado che ha condannato a 20 anni con rito abbreviato Antonio...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
VENEZIA - È stata impugnata in Cassazione dalla Procura della repubblica di Venezia la sentenza di primo grado che ha condannato a 20 anni con rito abbreviato Antonio Ascione, il pizzaiolo originario di Torre del Greco che il 23 luglio 2017 a Musile di Piave uccise a coltellate l'ex moglie Maria Archetta (detta Mariarca) Mennella. Lo rendono noto i familiari della vittima, tramite l'avvocato Alberto Berardi in collaborazione con la società Studio 3A-Valore Spa. Il ricorso alla Suprema Corte da parte del pm Raffaele Incardona, è motivato dal fatto che la sentenza con rito abbreviato, pronunciata il 4 ottobre 2018 dal giudice Massimo Vicinanza, preclude l'istanza alla Corte d'Appello nel secondo grado. Berardi ha appellato la sentenza presso la Corte d'Appello ma solo ai fini civili; in sede penale il ricorso è stato invece presentato dal difensore di Ascione, Giorgio Pietramala. Nel ricorso in Cassazione, notificato alle parti il 9 aprile scorso, Incardona punta sull'aggravante dei futili motivi, non riconosciuta dal giudice, che ha determinato la riduzione di pena rispetto all'ergastolo richiesto. Quella di Ascione non sarebbe gelosia «cieca» e «ordinaria», come ritenuto dal giudice, ma «punitiva». In particolare, l'uxoricida viene definito «un soggetto che ha considerato la vittima un oggetto di sua proprietà e che si è perciò sentito in diritto di controllarne ossessivamente la vita e di punirla, uccidendola, per la sua insubordinazione». Di qui la richiesta alla Cassazione di annullare la sentenza nel punto in cui nega la circostanza aggravante.
Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino