Ha lavorato con i grandi del cinema mondiale, premio alla Carriera per Davide Spinotti

Dante Spinotti
Premio alla Carriera del Festival di Locarno al direttore della fotografia Dante Spinotti, nato a Tolmezzo e cresciuto a Lendinara. Ha lavorato con i big del cinema mondiale. Sul...

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Premio alla Carriera del Festival di Locarno al direttore della fotografia Dante Spinotti, nato a Tolmezzo e cresciuto a Lendinara. Ha lavorato con i big del cinema mondiale. Sul set del Pinocchio di Roberto Benigni: «Esperienza unica»

Scegliere un film «è come sposarsi. Uno decide quando si sente che è la scelta giusta». La pensa così Dante Spinotti, straordinario direttore della fotografia tra l'Italia e Hollywood, Pardo alla carriera al Locarno Film Festival. Classe 1943, nato a Tolmezzo e cresciuto a Lendinara («Ho sempre avuto voti mediocri, tranne l'otto in disegno»), in carriera Spinotti ha lavorato con cineasti come Sergio Citti, Liliana Cavani, Lina Wertmuller, Ermanno Olmi, Roberto Benigni, Gabriele Salvatores, Giuseppe Tornatore, Garry Marshall, Bruce Beresford, Curtis Hanson (per L.A Confidential ebbe la prima nomination all'Oscar) stringendo veri sodalizi con registi come Michael Mann (con lui la seconda nomination all'Oscar per The Insider) o Michael Apted. È passato per ogni genere di cinema, compresi i superhero movies, come X men- Conflitto finale di Brett Ratner o tre anni fa Ant-man and the wasp di Peyton Reed. 


A SPASSO TRA I GENERI

Nel suo percorso, dopo gli esordi in Rai, il debutto nel cinema arriva con Sergio Citti, per Il Minestrone: «È stato un impatto forte, lavorare con il gruppo di Pasolini nella periferia romana, ma sapevo di non poter sbagliare - ricorda -. Con Sergio diventammo subito amici. Il film inizialmente si intitolava La fame, ma alla Rai non piaceva, volevano un titolo meno problematico».
In Italia «c'è stata a lungo un'ambiguità sul cinema d'autore - osserva -. L'idea che nessuno potesse toccare la sceneggiatura tranne il regista. Per me non esiste il cinema d'autore, esiste il buon cinema e il cattivo cinema». Tra gli aneddoti, quelli per Pinocchio (2002) di Benigni: «Si è molto fortunati quando si fa un film con lui, è un'esperienza unica. Gli chiesi perché sul set non si arrabbiasse mai e lui mi rispose che non sarebbe stato credibile arrabbiato e vestito da Pinocchio».


TICKET TO HOLLYWOOD

A introdurlo nella realtà di Hollywood fu Dino De Laurentiis, per Manhunter (1986) di Michael Mann, con cui è nata una collaborazione passata per cinque film: «Michael fa parte di quei registi, come Kubrick, che controllano tutto sul set. In fase di riprese quasi non parliamo perché prepariamo tutto prima». Al contrario dell'amico Vittorio Storaro («il suo ruolo nel nostro mestiere è paragonabile a quello di Martin Lutero nella storia delle religioni, per i cambiamenti fondamentali che ha portato»), Spinotti non pensa che il primo riferimento per il suo mestiere debba essere la pittura: «Per me tutto nasce soprattutto dagli attori sul set, dalla storia che c'è da raccontare». 
Ha accolto subito con favore l'avvento del digitale: «La tecnologia va avanti, ma quello che conta è sempre l'umanità delle storie, l'anima che c'è dentro. Prima del digitale noi direttori della fotografia, a fine giornata dicevamo domani controlliamo sui giornalieri. Oggi possiamo controllare tutto subito». Il digitale «è stato un passo fondamentale nella storia del cinema come l'arrivo del sonoro. Ti dà una sicurezza molto più ampia, anche se devi fare cose più complesse in tempi più veloci. Ti porta a essere più coraggioso e sperimentale».


Per lui al Festival di Locarno anche un mini omaggio composto dalle proiezioni di the Insider e Where are you (2021), il film diretto dal figlio Riccardo con Valentina De Amicis. Ora Spinotti ha in cantiere un documentario su Napoli: «Lo dirigerà Trudie Styler. È un progetto affascinante».  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino