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Per il vescovo monsignor Renato Marangoni, da cinque anni a Belluno, questa è la seconda Pasqua blindata causa Covid. E anche in questa occasione il presule, che non è ancora stato vaccinato («Pensavo di mettermi nelle liste aperte e di attendere la chiamata») risponde alle domande da remoto, collegato su piattaforma digitale.
La situazione del lavoro nella nostra provincia è in alcuni casi drammatica: le vicende di Acc e Ideal Standard mettono a rischio centinaia di famiglie che sono in difficoltà per il reddito. Ritiene che se ristori e sostegni ritardano ancora, potranno esserci manifestazioni forti di disagio anche qui?
«Quello che secondo me manca è la solidarietà in una situazione in cui siamo tutti sulla stessa barca e tutti chiamati a remare. Io sono molto preoccupato. Il mio incoraggiamento è che chi deve prendere il remo lo prenda e remi davvero nella stessa direzione di altri. Mi chiedo se chi ha la ha possibilità di decidere e progettare, lo faccia con chiarezza. Quello che accade nelle realtà citate è un problema che riguarda tutti. Se parliamo di globalizzazione, noto che si è rotto un certo tipo di rapporto fra globale e particolare e si è creato uno spazio troppo grande che ognuno può usare come vuole. Una volta si parlava di corpo sociale, nella Chiesa anche di corpo mistico. Ora l’individualità si è rafforzata e gli altri livelli sono andati per la loro strada. Ritrovare questo rapporto nuovo è la grande sfida del presente. Sono anni che si parla di spopolamento e non si vede ancora una svolta. Noto che i protagonisti non hanno una strategia comune, manca un disegno unitario. Mi chiedo cosa voglia dire concretamente favorire la famiglia che è stata uno dei salvataggi della nostra società».
Anche la Tipografia Piave, la tipografia della diocesi, chiuderà. I dipendenti hanno manifestato molta amarezza.
«L’amarezza è anche mia.
Lo spopolamento della provincia incide anche sulla vita delle parrocchie. Cosa c’è di nuovo all’orizzonte?
«È una situazione articolata e complessa che caratterizza sì il nostro territorio, ma anche tante altre zone d’Italia. Come Chiesa diciamo che siamo una società non più capace di far fronte ciò che la natura stessa prevede. La generatività dell’umanità fa parte di questo progetto di salvezza. Poi, certo, ci sono aspetti molto legati al territorio nostro. Pensavo che il confronto potesse aiutarci da una parte a capire il fenomeno, dall’altra a trovare soluzioni: ed è nato in questo contesto il fondo welfare. Come comunità soffriamo, soprattutto in media e alta montagna. Eravamo abituati ad essere in tanti, ora in pochi».
E sono allo studio altre soluzioni per le parrocchie? Arriverà il momento di affidare le parrocchie ai laici?
«Sto già riflettendo in questo senso ed ho già fatto alcuni passi. I tempi non sono ancora maturi per l’ufficializzazione, ma dico che cominceremo dalle zone di montagna. Intendo applicare l’articolo 517 comma 2 del codice di diritto canonico. Che in sostanza dice che, di fronte alla scarsità di preti, il vescovo può far collaborare alla cura pastorale di una parrocchia anche diaconi o laici, ma con la moderazione di un sacerdote. Nella quotidianità ci sono tanti ambiti aperti a questa collaborazione: la visita alle famiglie, agli ammalati, l’organizzazione di altri momenti. In pandemia è già accaduto ed i preti della diocesi che ringrazio per la loro apertura ed elasticità, non si sono tirati indietro ed hanno capito che questa è la strada imboccata. Ed anche le donne hanno sempre più spazio».
Vuole dedicare un ultimo pensiero di due sacerdoti del Seminario morti per Covid?
«La scomparsa di don Giovanni Unterberger e di don Elio Larese ha colpito molto tutti, anche perché condividevano la stessa vita di Seminario. E poi, forte della sua esperienza di scuola, don Elio aveva con sé un popolo; don Giovanni ha sempre svolto molti servizi spirituali. Sono stato molto colpito e frastornato anch’io».
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Il Gazzettino