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MONSELICE - Scatta l’allerta per la carenza di medici anestesisti e di rianimazione per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Il turn over di pazienti positivi nelle terapie intensive è sempre più pressante: i posti letto e le strumentazioni ci sono, ma non si trovano gli specialisti. Lo conferma il dottor Fabio Baratto, 53 anni, direttore dell’Unità operativa complessa di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Schiavonia. «In questa seconda ondata il turn over di pazienti nella terapia intensiva è più elevato rispetto la prima ondata – sottolinea - Posso arrivare fino a 24 posti letto in tempi brevi con il personale di cui dispongo, ma per aumentare ulteriormente la capienza abbiamo bisogno di personale accessorio che attualmente non c’è. Le attrezzature ci sono, quello che manca è il personale medico e infermieristico».
LE ASSUNZIONI
Si è svolto la scorsa settimana il maxi-concorso per infermieri alla Kioene Arena di Padova, al quale hanno partecipato quasi 5mila candidati da tutt’Italia. La graduatoria degli idonei diventerà presto un bacino importante per l’assunzione di personale infermieristico negli ospedali veneti. Non è altrettanto semplice per i medici, tanti i concorsi aperti ad anestesisti e rianimatori andati a vuoto. «Nella mia realtà abbiamo avuto un calo di sei anestesisti rispetto l’inizio dell’anno – spiega Baratto - per pensionamenti, malattie e quant’altro. Professionisti che non sono stati sostituti.
L’ATTIVITÁ
Il lavoro nel reparto di terapia intensiva Covid non manca. «Rispetto la prima ondata ora stanno arrivando pazienti con età media più bassa, il più giovane aveva 32 anni – continua il direttore -. Il paziente tipo comunque è il 60enne con poche patologie. Normalmente sono persone ipertese, magari un po’ in sovrappeso, con una vita normale. Il virus è aggressivo, causa polmoniti importanti e lascia dei residuati pesanti anche all’uscita dalla terapia intensiva. I più giovani riusciamo ad estubarli in tempi veloci e trasferirli in reparto. Gli anziani invece hanno molte più difficoltà ad uscire dalla terapia intensiva». L’appello, come sempre, è alla prudenza. «Più la gente sta a casa e prende precauzioni, meglio è per tutti – afferma Baratto -. Frenare questo afflusso eccessivo agli ospedali, permette a noi di aver tempo e spazi per trattare meglio anche le altre patologie. É assurdo che alcune malattie vengano penalizzate perché abbiamo troppi pazienti positivi al Covid».
LA SPERANZA
La speranza ora guarda al vaccino, che pare possa arrivare già a gennaio. «Il vaccino lo aspettiamo tutti – ammette Baratto - e probabilmente sarà l’unica cosa che ci farà uscire definitivamente da questo incubo, ma fino a quel momento ognuno di noi deve cercare di fare il possibile per non contagiarsi». Gli operatori sanitari ormai conoscono il nemico, ma ora devono combattere contro la stanchezza. C’è chi teme di non avere la forza di vivere un’altra volta tutto il dolore della prima ondata, non avendo ancora smaltito lo stress di quel periodo. «Il personale medico e infermieristico è veramente molto stanco – dice Baratto - Soprattutto l’ospedale di Schiavonia ha passato una prima ondata davvero dura dal punto di vista lavorativo, seguita da un impegno molto stressante per poter recuperare gli interventi non eseguiti durante la prima fase. Ciò si è tradotto nella riduzione di ferie e in turni importanti anche durante l’estate. Finito questo, siamo rientrati in una seconda fase di pandemia, con lo stesso stress di prima, senza mai fermarci. Quindi per noi, oggi, è molto più faticoso».
La task force di rianimazione del Covid Hospital di Schiavonia conta sulle forze di 25 anestesisti e da un centinaio di operatori super specializzati. Durante il ricovero il paziente viene trattato con una cosiddetta terapia di supporto, che prevede l’ossigenoterapia oltre a un attento e costante monitoraggio clinico. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino