Odissea per un tampone. Si presenta in bicicletta, cacciata dal punto Covid: «Ma è il mio unico mezzo di trasporto»

Roberta Zago
TREVISO - La bicicletta è il suo unico mezzo di trasporto autonomo. Ed è così, in sella alla sua fedele due ruote, che ha cercato di raggiungere il centro...

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TREVISO - La bicicletta è il suo unico mezzo di trasporto autonomo. Ed è così, in sella alla sua fedele due ruote, che ha cercato di raggiungere il centro tamponi dell'ex Dogana, a Treviso, organizzato in modalità drive-in. Ma a qualche chilometro dal Covid point è incappata nella pattuglia della polizia locale, che l'ha rispedita indietro: «Non può andarci in bicicletta. Trovi un altro modo». Ma lei un'alternativa a quattro ruote non ce l'ha. Ed è così che la pedalata si trasforma in odissea: rimpallo telefonico da un ufficio all'altro e 5 giorni di attesa, chiusa in casa, per effettuare un tampone a domicilio, fortunatamente negativo. «Tutto perché le bici non sono contemplate ai Covid point - dice Roberta Zago scuotendo la testa -. Eppure non credo di essere l'unica cittadina sprovvista di una macchina. Bisognerebbe pensare un'alternativa anche per chi, come me, per spostarsi può contare solo sulla bicicletta o sui mezzi pubblici».

LE PERIPEZIE
È il 27 dicembre quando Roberta, 56 anni e un impiego come tuttofare nella cucina di un ristorante trevigiano, inizia a stare male: tosse e qualche linea di febbre. Sintomi compatibili con il Covid-19. Prima di prescrivere qualsiasi terapia, il suo medico di base vuole tagliare la testa al toro così la manda a fare un tampone nel Covid point allestito dall'Ulss, all'ex Dogana. Impegnativa alla mano, la donna inforca la bici e si dirige verso il Covid point. Da casa sua, nel quartiere di Selvana, all'ex Dogana sono circa 4, 5 chilometri che lei percorre nonostante la febbre. Del resto non ha alternative. «Visto che c'era il sospetto che fossi positiva non potevo mica andarci in autobus o in taxi rischiando di contagiare altre persone! - spiega -. Mio figlio non era a casa quindi non poteva accompagnarmi e comunque si sarebbe posto lo stesso problema: ai sospetti positivi raccomandano di restare in auto con altre persone non più di 20 minuti. Mentre all'ex Dogana la fila per i tamponi dura ore». La doccia fredda arriva a qualche chilometro dalla meta, quando all'altezza di una rotatoria viene bloccata dalla polizia locale, che le dice di fare dietrofront. Inizia un battibecco: la donna spiega la propria situazione, l'agente è irremovibile: «Lei non può proseguire in bici». Le viene suggerito di farsi accompagnare da qualcuno o di andare in farmacia, opzione che aveva già scartato visto che in presenza di potenziali sintomi è sconsigliato. Tra le varie motivazioni addotte per giustificare il divieto, i vigili esprimono anche il timore che la bicicletta possa sorpassare le auto creando malumori tra gli altri utenti in coda. La donna assicura che rispetterà l'ordine di arrivo. Niente da fare.

LO SCONFORTO


A quel punto Roberta chiede aiuto al suo medico di base. E inizia un rimpallo telefonico tra uffici e sportelli dedicati ma nessun operatore riesce a risolvere l'impasse. Dopo oltre mezz'ora la donna si avvia sconsolata verso casa. «Ho pensato che potevo fare un altro tampone rapido, almeno per togliermi il dubbio ma su tutte le farmacie che ho incrociato i cartelli dicevano che i tamponi erano esauriti - spiega -. Del resto sotto le feste le farmacie erano prese d'assalto». Nel tragitto verso casa la 56enne si imbatte anche in alcuni rappresentanti dell'amministrazione, a cui fa presente il problema. Alla fine è il suo medico ad aggirare l'ostacolo: «Ha chiesto un tampone a domicilio, poi risultato negativo. Ho dovuto aspettare 5 giorni, fino al 1° gennaio. E' stata proprio un'odissea! Mi aspetterei che nei punti tamponi venisse allestita una corsia anche per le biciclette o che si trovasse un'altra soluzione efficace anche per chi non può accedervi in auto».
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Il Gazzettino