Mille giorni di pandemia, il ricordo del pizzaiolo: «E' stato un dramma, abbiamo lavorato in perdita per rimanere a galla» Video

MONSELICE - Luca Boron, 54 anni, pizzaiolo fin dall’adolescenza. Gestisce la pizzeria “Toco-il locale” a Monselice con la moglie Stefania Fornasiero e ai figli...

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MONSELICE - Luca Boron, 54 anni, pizzaiolo fin dall’adolescenza. Gestisce la pizzeria “Toco-il locale” a Monselice con la moglie Stefania Fornasiero e ai figli Arianna ed Enrico.

La data fatidica è il 9 marzo 2020, l’annuncio del lockdown. Cos’ha provato?
«È stato un dramma. Avevamo da poco fatto l’investimento del nuovo locale, c’erano scadenze e rate da pagare. Non eravamo pronti a una cosa del genere. Da lì è iniziata una quotidianità difficile. Pur di non perdere la clientela ci siamo appoggiati a esterni per le consegne a domicilio, abbiamo accettato di lavorare in perdita. Se avessimo chiuso ci sarebbero voluti mesi per recuperare il giro: la gente si dimentica di te molto presto».

A quali ricordi è più legato?
«Psicologicamente le persone vivevano drammi incredibili. Da parte nostra però c’era una voglia infinita di portare un po’ di normalità nelle case. A Pasqua mettevamo nelle sporte delle pizze delle piantine, un segno di speranza e rinascita».

A livello istituzionale e sociale vi siete sentiti tutelati?
«Non sempre, purtroppo. Come impresa e famiglia ci siamo sentiti un po’ abbandonati e abbiamo patito la rigidità delle norme. Scarsa anche la comprensione da parte di chi ci era più vicino: qualcuno spiava e ha chiamato i carabinieri tre volte. Credevano ci fossero movimenti strani, ma eravamo solo noi che mettevamo l’auto in garage. Con la paura di ammalarsi, chi poteva pensare di violare le regole?».

Se non altro l’affetto dei clienti sembra non essere mai mancato…
«Tanti sono stati gentilissimi, ma c’era grande tensione. Qualcuno ha avanzato contestazioni telefoniche perché eravamo in ritardo nelle consegne. Ogni tanto ci penso e sorrido: se anche la pizza arrivava tardi, dove dovevano andare visto che eravamo tutti chiusi in casa?».

Estate 2020: arriva finalmente la prima, timida, riapertura. Il locale si è popolato?
«Adottiamo la formula “take away - take and stay”: c’è sia l’asporto che la possibilità di mangiare seduti al tavolo. Dopo una batosta del genere l’atmosfera era comunque di grande diffidenza. La gente si teneva a distanza e tendeva a non sedersi. Non abbiamo lavorato come speravamo. C’era anche qualcuno che si disinteressava delle regole e non indossava la mascherina, situazioni da gestire con tatto e fermezza».

Ora che il peggio pare passato cosa le ha lasciato questo Covid?


«Un enorme vuoto economico, che non colmeremo più. Ma abbiamo avuto anche la possibilità di riflettere e analizzare il nostro lavoro. Siamo contenti di essere ancora aperti e salutiamo con determinazione e grinta il ritorno alla normalità. I clienti hanno apprezzato i nostri sforzi e ci sono rimasti affezionati. Paura del virus non ne ho più, ora basterebbe che la guerra finisse. Fa più paura il costo dell’energia».


 

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Il Gazzettino