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PORDENONE «Io, imprenditore, mi sono visto negare il diritto di lavorare». La lettera che scrive Paolo Pignat, titolare di un'attività a Pordenone, inizia così. E non è la storia di un imprenditore in crisi a causa delle chiusure. C'è altro, è un mix di burocrazia e lentezza pandemica, con effetti potenzialmente gravi sull'attività lavorativa di una persona. Pignat, infatti, il 22 dicembre scopre di essere positivo al Covid. Stesso responso anche per la moglie. Dopo alcuni giorni di sintomi lievi, ecco la conferma, che arriva da un labratorio privato di Montebelluna (Tv). Pignat abita a Polcenigo, ma non era riuscito a trovare posto nei laboratori del Pordenonese, che lo avevano rimbalzato al 28 dicembre. Ma non è questo il calvario, perché in realtà inizia dopo l'esito del tampone.
IL RACCONTO
«E qui inizia l'avventura- racconta - Che dobbiamo fare adesso? Di certo andare a casa evitando qualsiasi contatto stretto. Arriviamo e contattiamo i nostri medici di famiglia.
I TENTATIVI
Pignat prova anche con l'Asfo. «Mi rispondono che posso solo seguire la procedura. Se non la chiama nessuno, il giorno 4 ci risentiamo. Inizio a pensare di essere in una botte di ferro ma con i chiodi all'interno. Pignat il 2 gennaio prova anche con i carabinieri e il sindaco di Polcenigo. Ma niente da fare. Anche il famoso numero 1.500, quello nazionale per l'emergenza Covid, rimanda l'imprenditore di Polcenigo al centralino del Friuli Venezia Giulia. E lì inizia di nuovo la stessa litania: attesa, sempre infruttuosa. Il tampone molecolare di conferma non può essere prenotato. A quanto pare.
L'EPILOGO
Alla fine passano 14 giorni dalla positività al test rapido. «Io da buon cittadino continuerò a restare sequestrato senza motivo insieme ai miei familiari. Fortunatamente, stiamo bene, ma non possiamo né lavorare né andare a scuola perché la Regione non è in grado dopo 14 giorni dalla segnalazione di contattarti per metterti in lista per fare uno straccio di tampone. La parola sequestrato è volutamente forte tanto quanto la violenza, che una assurda burocrazia (la cui causa è la assoluta incapacità amministrativa) esercita nel momento in cui ci sequestra in casa senza alcuna ragione. Ricordo che è la legge che afferma che in caso di assenza di sintomi significativi un cittadino ha il diritto di fare un tampone dopo dieci giorni per poter rientrare nella socialità. Non chiediamo di fare il tampone per andare a bere lo spriz; vogliamo solo poter lavorare».
Anche perché ormai, probabilmente, anche il Covid si sarà stancato di ascoltare la stessa, infruttuosa, telefonata.
M.A. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino