I no-vax "assediano" il Pronto soccorso: viaggio tra terapie "inventate", urla e minacce

Viaggio tra terapie "inventate", urla e minacce contro i sanitari

Sanitari al lavoro
Pordenone - «Mi dispiace, il tampone è positivo, lei ha il Covid». È una frase che al Pronto soccorso sanno anche i muri, potrebbero ripeterla...

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Pordenone - «Mi dispiace, il tampone è positivo, lei ha il Covid». È una frase che al Pronto soccorso sanno anche i muri, potrebbero ripeterla all’infinito se avessero la parola. Si sente sempre più spesso anche al Santa Maria degli Angeli di Pordenone nelle ultime settimane. Una diagnosi rapida, basata sul risultato di un tampone: l’abc per qualsiasi medico. Esami, risultato, diagnosi. Poi inizia la fase della prognosi e della terapia. Ma è qui che l’assalto dei no-vax è diventato quasi insostenibile. Una battaglia quotidiana che inizia da quando sotto il naso arriva il responso del test. E che ogni giorno diventa sempre più dura, perché ora tra i pazienti (specialmente quelli “irriducibili”) alla paura è subentrato un altro sentimento: un misto di arroganza, supponenza, cattiva informazione e insofferenza rispetto a quelli che da eroi sono diventati bersagli. 


IL VIAGGIO


Il Pronto soccorso di Pordenone è forse quello meno sotto pressione di tutta la regione in questo momento caratterizzato dalla quarta ondata. «Si presentano quasi esclusivamente persone non vaccinate», tengono a precisare gli operatori che ci lavorano tutti i giorni. Ed è qui che arriva il principale problema, perché quella che si vive nella primissima linea di difesa dell’ospedale è diventata una “partita” tra negazionismo e scienza. Dove non sempre, purtroppo, vince la scienza. Per spiegare, però, si deve partire dai sintomi. «Febbre, tosse secca, difficoltà a respirare», spiegano gli esperti. Sono due-tre al giorno, gli accessi di persone che rientrano nella schiera dei “temerari” no-vax convinti fino all’ultimo di aver fatto la scelta giusta. A quel punto la diagnosi sarebbe già scritta, ma si fa correttamente il tampone. È positivo, ed ecco che inizia la “battaglia”. «Secondo me non è vero che sono positivo». «Mi state fregando, vi faccio causa». Sono alcune componenti del repertorio che gli operatori del Pronto soccorso si sentono ripetere tutti i giorni. Una specie di vademecum delle lamentele che si ripropone come una litania. «E purtroppo abbiamo avuto anche delle persone per le quali avevamo già capito che sarebbe stato troppo tardi». In due casi, non ce l’hanno fatta. 


LE RICHIESTE


È successo anche che un paziente abbia rifiutato il ricovero, firmando le dimissioni. In altri casi gli irriducibili hanno pronta quella che credono essere un’arma: una specie di prontuario farmaceutico fai da te che pensano di poter imporre come terapia a chi ha fornito loro la diagnosi. Anti-infiammatori di dubbia provenienza, vitamine varie, terapie riconosciute per essere addirittura dannose oltre che inutili ai fini della guarigione dal Covid. «E ci troviamo anche di fronte a parenti distrutti dal dolore, che confessano di aver provato tutte le strade per far vaccinare la persona che in quel momento si trova in ospedale, ma senza successo», spiegano ancora gli (ex) eroi della prima linea. Per ogni paziente convinto di avere dalla sua la ragione (spesso maturata su internet), si rischia di perdere anche un’ora, con pesanti ripercussioni su un sistema - quello del primo soccorso - già alle prese con diversi problemi. Il viaggio si chiude al momento delle dimissioni, nel caso di chi ce la fa. «Alcuni - spiegano gli operatori - vivranno con il respiratore portatile per sempre. Non si riprenderanno mai del tutto». Altro che vitamine.

 

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Il Gazzettino