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E Il rischio è concreto, e sotterra ogni tentazione di chiamare l’allarme con altri nomi: populismo, perfino razzismo, appartenenza politica. In questo caso si parla solo di salute. Pubblica per giunta, quindi parte del tutto, indipendentemente da colore della pelle, provenienza, lingua o religione. La situazione sanitaria dei migranti che arrivano ogni giorno in Friuli Venezia Giulia, per usare le parole dei firmatari dell’allarme, è «fuori controllo». E il pericolo si chiama variante. O varianti, parlando al plurale. Il Friuli Venezia Giulia rischia di riportarsi in casa un virus mutato a causa dell’esplosione della Rotta balcanica. E questa volta sono i sindaci dei quattro capoluoghi ad alzare la voce, chiedendo l’impiego dell’esercito per evitare che la situazione peggiori.
L’APPELLO
Roberto Dipiazza (Trieste), Rodolfo Ziberna (Gorizia), Pietro Fontanini (Udine) e Alessandro Ciriani (Pordenone), chiedono aiuto a Roma e alla Regione. «La provincia di Udine è già in difficoltà», ha lanciato il monito per primo Fontanini. «Non è vero che il problema non tocca Pordenone - rileva invece Alessandro Ciriani - perché noi viviamo il fenomeno di riflesso.
I NODI
Si accennava al pericolo di diffusione di varianti del virus particolarmente pericolose, come ad esempio il ceppo conosciuto come “Delta”, che altro non ‘ che la variante indiana. Non è una questione razziale, ma di semplice conoscenza geografica. La maggior parte dei migranti in arrivo in Friuli Venezia Giulia, infatti, proviene da aree dell’Asia ad alto rischio varianti: Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Afghanistan. Tutti Paesi a contatto con il ceppo delta, che in Inghilterra sta seminando contagi in comunità non vaccinate.
La domanda è semplice. In Friuli Venezia Giulia, dove i tamponi dei “comuni” cittadini vengono spesso inviati ai laboratori di Trieste con lo scopo di sequenziare il virus e aggiornare la mappa delle varianti, esiste un controllo dello stesso tipo sulle comunità di migranti? La risposta arriva direttamente dai centri specializzati in questo tipo di operazioni, ed è purtroppo negativa. Non è stato messo in campo - ancora - un controllo puntuale sui tamponi positivi che riguardano i richiedenti asilo contagiati. Sono comunità chiuse e non hanno molti contatti con l’esterno - è vero - ma i casi di violazione della quarantena non sono rari e soprattutto si è in presenza di una serie di operatori che lavorano a stretto contatto con i migranti e che vivono invece il tessuto sociale e familiare della regione. Per questo, ora, i sindaci chiedono un intervento. Sono 3.214 i rintracci dal primo gennaio, di cui circa 1.300 nella sola provincia di Udine. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino