PADOVA - I guariti tendono una robusta mano ai malati. Il loro plasma potrebbe essere salvifico. È dagli ex pazienti Covid che arriva una possibile cura per i Covid...
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IL METODO
A spiegare precisamente in cosa consiste è la dottoressa Giustina De Silvestro, direttore dell'Unità operativa complessa Immonutrasfusionale: «Forti di un'esperienza pregressa per altre malattie abbiamo deciso di utilizzare il plasma dei pazienti guariti, plasma nel quale siamo consapevoli c'è un'elevata quantità anticorpi che speriamo utili a curare quelli con patologia ancora attiva e in stato particolarmente severo». Gli esperti patavini sono giunti ad adottare questa sperimentazione - partita pressochè in contemporanea, a livello italiano, con l'ospedale di Pavia - dopo un confronto con i colleghi di Wuhan giunti a Padova nei giorni scorsi: loro avevano già testato la bontà dell'esperienza su un campione di assistiti locali. «Abbiamo già iniziato un reclutamento attivo dei donatori, e la cosa molto bella, significativa e gratificante è che i primi che si sono fatti avanti appartengono al personale sanitario: c'è un'offerta spontanea di persone che continuano a cercarci: abbiamo iniziato - argomenta de Silvestro - con gli screening preliminari per avere la certezza che il plasma utilizzato sia assolutamente sano».
IL RECLUTAMENTO
Il reclutamento è su scala regionale, l'avanguardia di pazienti è ricoverata a Padova ma poi estendibile ad altre province. Il plasma, ovvero la parte più liquida del nostro sangue, è composto da acqua, proteine, nutrienti, ormoni, soprattutto contiene una quota di anticorpi che si sono formati dopo la battaglia vinta contro il virus. È questa la chiave di volta. L'aspettativa è una regressione di malattia. «Il donatore regala 600 millilitri di plasma e noi, insieme a un secondo donatore, con 1200 millilitri trasfonderemo in progressione allo stesso paziente tre dosi da 400. Il progetto, di fatto regionale, partirà una volta la Microbiologia convaliderà alcuni metodi, nell'attesa del plasma è già stato stoccato». La prima donatrice è un medico universitario. «La diagnosi di coronavirus risale ai primi di marzo - racconta Sofia (nome di fantasia ndr.), neurologa -, ho avuto dei sintomi lievi, come tosse, perdita di olfatto e gusto e sono rimasta venti giorni in isolamento domiciliare. A metà marzo ho fatto due tamponi, entrambi negativi. Adesso sto bene, sono tornata a lavorare e ho sentito parlare di questo progetto bellissimo». Sofia ha festeggiato i suoi 38 anni in isolamento. «La donazione è su base volontaria e consiste nel farsi prelevare del plasma con anticorpi contro il virus: io so di essere guarita e possiedo gli anticorpi della memoria immunologica, insomma sono l'identikit del donatore giusto». La donna ieri è stata sottoposta a una serie di analisi propedeutiche alla donazione vera e propria, detta aferesi (non un prelievo tradizionale di sangue ma solo della sua parte liquida che contiene, appunto, gli anticorpi) che avverrà martedì mattina. Il suo dono contribuirà alla raccolta di plasma anti-Covid.
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Il Gazzettino