PADOVA - Cinquanta aziende passate al setaccio in dieci giorni. Cinque al giorno, partendo da quelle di maggiori dimensioni, per un totale di 12 mila lavoratori. È un...
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L'ELENCO
L'obiettivo dello Spisal è verificare il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione, a partire dalle mascherine e dai disinfettanti. Ogni squadra è formata da almeno due tecnici. Non ci sono state multe o ammende e chi ha compiuto le verifiche ha riscontrato quasi sempre sensibilità degli imprenditori e dei lavoratori nei confronti dell'emergenza. Lo Spisal padovano, diretto dalla dottoressa Rossana Bizzotto, sta controllando uffici e stabilimenti produttivi dell'intera provincia. L'elenco è lungo e i sopralluoghi non si fermano: dall'Alta Padovana alla Bassa, fino all'area termale, interessando ovviamente anche la città. Le verifiche sono partite dalle aziende più grandi, impegnate nel settore metalmeccanico e nella logistica, ma il piano prevede che vengano passati ai raggi x anche supermercati e magazzini.
Una situazione molto preoccupante aveva coinvolto lo Spisal due settimane fa, quando erano stati posti in isolamento 23 addetti. Il reparto era stato completamente chiuso in via precauzionale perché un dipendente era risultato positivo al tampone di Coronavirus. Tutto il personale, ovvero quattro medici, una operatrice sociosanitaria e ben 18 tecnici, per un totale di 23 persone, ha dovuto rimanere a casa ed evitare contatti con altre persone. «Ora siamo nuovamente operativi», ha annunciato 10 giorni fa il direttore generale dell'Ulss 6, Domenico Scibetta. Il lavoro di questi giorni lo dimostra.
LE AUTOCERTIFICAZIONI
Intanto, parallelamente, prosegue il lavoro forsennato del prefetto Franceschelli e dei suoi collaboratori per vagliare tutte le autocertificazioni arrivate dalle imprese padovane che intendono continuare a lavorare. Alla fine il numero complessivo di richieste è di 2.700: le verifiche sono già iniziate, dureranno almeno tutta questa settimana e coinvolgono anche Camera di Commercio, Guardia di Finanza e vigili del fuoco. Dalla piccola azienda a conduzione famigliare al colosso che vende in tutto il mondo, il metro di giudizio è sempre lo stesso: le attività ritenute essenziali possono continuare a lavorare mentre le altre dovranno fermarsi. Le imprese che presentano le autocertificazioni devono dimostrare di fare parte di una filiera autorizzata dal decreto. Per le attività ritenute essenziali vale la norma del silenzio-assenso e possono proseguire il lavoro senza attendere alcuna risposta. Agli imprenditori che dovranno fermarsi, invece, verrà notificato un provvedimento di diniego.
Chi è stato costretto a chiudere, invece, deve fare i conti con altri problemi. Secondo i dati della Cgil provinciale sono circa quattromila le aziende che hanno chiesto a vario titolo l'utilizzo di ammortizzatori sociali. Si parla complessivamente di 55 mila lavoratori per i quali sono state richieste cassa integrazione, cassa in deroga, fondo integrativo salariale oppure fondo di solidarietà bilaterale dell'artigianato. Ora tutti attendono risposta.
Gabriele Pipia Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino