PADOVA - La riapertura anticipata è stata concessa, corredata però da linee guida e indicazioni che da un lato sono estremamente vaghe e dall'altro paiono...
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LE CRITICITÁ
Una boccata d'ossigeno che però non cancella altre criticità enormi. «Non voglio nemmeno dire il numero di attività a rischio di chiusura definitiva emerso dalle nostri proiezioni. É allucinante, voglio credere che sia sbagliato anche se so che non lo è dichiara un arrabbiatissimo Patrizio Bertin, presidente di Ascom - con il decreto Rilancio non ci siamo proprio: ben venga l'annullamento dell'aumento automatico dell'Iva, ma qui servono liquidità, sostegni a fondo perduto, proroghe alle scadenze fiscali, sgravi sugli affitti. Basta decreti a raffica, basta scaricare sugli imprenditori responsabilità e oneri che non competono loro! Si rischiano licenziamenti, fallimenti, disoccupazione. Non alimentiamo una nuova e più acuta disgrazia».
Una posizione pienamente condivisa anche da Massimiliano Pellizzari di Acc che non nasconde i suoi timori: «Il 10% delle attività rischia di non riaprire. Padova perderà locali e negozi storici e se la situazione non si recupererà prima dell'autunno la cifra potrebbe sfiorare il 40%. I costi fissi rimangono, ma se non si permette ai commercianti di avere introiti salta tutto. Il timore più grande? Un nuovo lockdown».
LA DELUSIONE
Perentorie sono anche Appe Padova e Fipe Veneto che invocano precise regole regionali sulla base delle richieste emerse da un sondaggio a cui hanno partecipato 600 esercenti. In 23 mila avevano firmato la petizione per anticipare la riapertura al 18 maggio, ma la delusione davanti alle direttive nazionali emanate da Inail e Istituto superiore di sanità (le uniche oggi disponibili) è cocente. Il 43,5% non aprirà subito ma temporeggerà per studiare la situazione e il 16,8% pensa di cessare definitivamente l'attività. Dunque solo il 40% è pronto a riaccendere i motori lunedì. La possibilità di estendere i plateatici e non pagare la tassa di occupazione del suolo pubblico è stata accolta con favore, ma non tutti possono beneficiarne. Il 77% ha infatti uno spazio esterno, ma solo il 20,6% lo può ampliare e la distanza minima di due metri fra i tavoli all'interno dei locali taglieggerà di oltre il 50% la capienza media. Altro dramma è quello dell'occupazione poiché sono poco più del 10% le attività che dichiarano che le nuove impostazioni incideranno in modo lieve sulla gestione. Per un drammatico 89,8% licenziamenti, riduzioni di orario, contratti a chiamata e di solidarietà saranno un'atroce certezza.
«L'applicazione delle regole nazionali comporta di fatto l'impossibilità fisica di aprire nel rispetto delle regole per 400 locali e per 1.200 imprese richiede l'adozione di criteri operativi economicamente insostenibili spiega il segretario di Appe e Fipe, Filippo Segato significa perdere tra 5 mila e 10 mila posti di lavoro. Una Caporetto economica e sociale». Il sentore comune è dunque dei più neri, con gli esercenti accontentati nella riapertura anticipata ma sballottati tra prescrizioni nazionali incompatibili con un lavoro che garantisca guadagno e la mancanza di linee guida concrete a livello territoriale. «La ripartenza sarà un caos, abbiamo 15 mila imprese pronte che però non hanno indicazioni precise, concrete e definitive aggiunge Nicola Rossi, presidente di Confesercenti del Veneto Centrale - la realtà è che lunedì molti preferiranno tenere chiuso perché i terribili ritardi del governo hanno creato un clima di sfiducia e incertezza». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino