Manuela, moglie del medico di base, salva dopo 11 giorni di terapia intensiva

GUARITA Manuela Giamboni con il figlio Riccardo e il marito Fabio Piovan medico di base di Battaglia Terme
BATTAGLIA TERME - Manuela Giamboni, 64 anni, ce l’ha fatta. Ai primi di marzo ha contratto il coronavirus dal marito, Fabio Piovan, medico di base di Battaglia, asintomatico...

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BATTAGLIA TERME - Manuela Giamboni, 64 anni, ce l’ha fatta. Ai primi di marzo ha contratto il coronavirus dal marito, Fabio Piovan, medico di base di Battaglia, asintomatico e risultato positivo in un secondo momento. Oltre a lei, sono stati contagiati pure i loro tre figli Riccardo, Irene e Alessandro. Questi ultimi hanno accusato “solamente” dei lievi sintomi. La donna, invece, è stata ricoverata per undici giorni nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Schiavonia a causa di grosse difficoltà respiratorie riconducibili, appunto, al virus. E’ stata dimessa mercoledì sera e ora si trova nella sua abitazione, sotto osservazione (ma ufficialmente guarita), insieme al marito Fabio e a Riccardo, 35 anni, gestore dello storico locale Baccanale della cittadina termale.


LA TESTIMONIANZA
«Ho ripreso a respirare normalmente, senza ausili – racconta – E’ questo il dono più grande». La vicenda della famiglia Piovan inizia sabato pomeriggio 14 marzo, allorché la signora comincia ad avvertire i primi fastidi. Uno, in particolare, la preoccupa: una tosse secca, strana. Pur non avendo patologie pregresse, per scrupolo il marito chiama l’ospedale covid della Bassa. Consigliano loro di recarsi alla tenda triage, allestita all’esterno della struttura, per eseguire il tampone. Così fanno. I risultati dei test, però, sono disponibili solo dopo quattro, cinque ore. Nel frattempo, le condizioni di Manuela Giamboni peggiorano, fa sempre più fatica a respirare. E’ certo che sia affetta da coronavirus. Tuttavia, non vi è alcun letto disponibile nel reparto di terapia intensiva. I sanitari telefonano allora ai nosocomi di Piove di Sacco e Camposampiero; anche lì, nessun posto. La buona notizia è che proprio il giorno successivo, domenica 15 marzo, sarebbero stati attivati 100 nuovi letti, sempre a Schiavonia. I dottori decidono di trattenerla in un locale del pronto soccorso, attaccata alla macchina dell’ossigeno, per trasferirla ventiquattro ore dopo.

LA BATTAGLIA

L’inizio della sua battaglia: «Ognuno di noi sta vivendo in modo diverso questi momenti. Prima di ammalarmi consideravo il coronavirus una criticità, ma ben lontana dal mio contesto famigliare. E invece, all’improvviso, mi sono ritrovata al pronto soccorso. Ero io, la protagonista». «Quando mi hanno comunicato che ero stata contagiata mi sembrava di ascoltare una vicenda che nulla azzeccava col mio mondo. Mi hanno isolata, ho dovuto cercare la forza dentro di me. Non c’era più nessuno attorno, potevo unicamente fidarmi dei medici che mi hanno presa in cura. Sono stati loro, la mia salvezza». Ci sono stati dei frangenti, continua, «che nel mio intimo sono riaffiorate le notizie più brutte dei telegiornali. Ho provato ad attaccarmi alla vita dei miei nonni, che tanti anni fa ce l’hanno fatta contro il tifo. Mi sono pure aggrappata alla fede, ad una prospettiva più grande di me». Manuela Giamboni non è stata intubata. Durante le prime ore ha respirato attraverso una maschera, poi, trascorsi alcuni giorni, mediante i naselli. «Adesso che è tutto finito desidero mandare un messaggio di speranza: se è vero che non bisogna sottovalutare il covid 19, è altrettanto vero che è possibile guarire».  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino