Infermiera contrae il virus lavorando e contagia la mamma: «L'ho uccisa io»

Anca Petrisor e la mamma Luminita Aurora Chirculescuì
CADONEGHE - Infermiera ad Abano contrae il virus e contagia la madre che, resistente a ogni cura, muore sola in ospedale. Ora per la figlia, Anca Petrisor, divorata dal senso di...

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CADONEGHE - Infermiera ad Abano contrae il virus e contagia la madre che, resistente a ogni cura, muore sola in ospedale. Ora per la figlia, Anca Petrisor, divorata dal senso di colpa, l'unica consolazione è poter dare all'anziana un ultimo saluto. E per questo chiede di poter eseguire velocemente il tampone che ne dimostri la guarigione e le consenta di andare, sola, in cimitero per dire addio alla sua mamma. Intanto la comunità romena sta organizzando una raccolta di donazioni per la famiglia colpita dalla tragedia.

Luminita Aurora Chirculescuì è morta martedì scorso iun Azienda ospedaliera, dov'era ricoverata da quasi due settimane dopo aver accusato i sintomi del Covid. Era stata la figlia, Anca, in Italia dal 1990, anche lei positiva al tampone, così come il figlio Serban, a chiamare l'ambulanza per far ricoverare la madre. Anca lavora come infermiera al Policlinico di Abano, e fino a quando non è rimasta contagiata, ha lavorato in prima linea contro il coronavirus. Il figlio, invece, è tecnico di radiologia, anche lui in isolamento insieme alla madre.
«Quando ho visto che mia mamma non stava bene ho chiamato l'ambulanza - racconta Anca con la voce spezzata dalla commozione - e l'hanno ricoverata agli infettivi. E' rimasta per circa quattro giorni con sintomi lievi e sembrava che la situazione evolvesse per il meglio. Invece, poco dopo è stata trasferita in terapia intensiva dove l'equipe del professore Eugenio Serra hanno fatto l'impossibile, l'hanno curata dal punto di vista medico e accudita da quello umano. Purtroppo il 14 aprile mia mamma è mancata, da sola, senza l'abbraccio della sua famiglia, nonostante le attenzioni e le cure dei medici».
Anca è disperata perchè sa di essere stata lei a portare a casa il coronavirus essendo venuta a contatto con qualche paziente infetto mentre lavorava come infermiera. «Mi porto dentro questo senso di colpa che non sparirà mai per tutta la vita- aggiunge Anca - non mi perdono di non essere riuscita a proteggere la mia mamma, nonostante tutte le accortezze osservate e le attenzioni. Questo virus è davvero terribile. Mia mamma era una donna in gamba, piena di vita, solare; era la nostra forza e la nostra guida. Mandava avanti la casa ed era il sostegno morale di mio figlio e mio. Purtroppo questo malefico virus mi ha fatto conoscere cosa vuole dire essere in prima linea, sostenere e aiutare i pazienti, farsi in quattro per combattere i contagi, e poi non poter fare nulla per una delle persone più care e preziose che hai, tua madre. So cosa vuol dire il dolore della sofferenza e della solitudine. La doppia esperienza di sanitario e poi di paziente mi ha anche fatto capire ancora di più il valore della mia professione. Ringrazio tutti i miei colleghi, i medici di Padova e gli infermieri perché fanno un lavoro eccezionale. Anzi, fanno molto di più perché regalano anche quei sorrisi e quelle carezze che i famigliari dei pazienti ricoverati non possono dare ai loro cari».
Ieri la salma di Aurora è stata sottoposta ad autopsia, perché «vogliono capire per quale ragione la terapia che le hanno somministrato non ha funzionato - precisa Anca -. Sto cercando di smuovere le acque perché facciano il tampone a me e a mio figlio: se è negativo possiamo almeno dare un ultimo saluto a mia madre».

Alla notizia della morte di Aurora Chirculescu, arrivata in Italia nel 1997, la comunità romena si è stretta subito attorno alla famiglia di Anca e ha promosso una campagna di solidarietà proponendo una raccolta di donazioni dando così un po' di sollievo alla difficile situazione economica e aggravata ora dalle spese funebri. Una scatola per aiutare la famiglia è stata posizionata anche nel negozio Rebymarket di Lidia Zamfir che si trova ad Arsego di via Roma. «In questo momento è importante dare un aiuto a questa famiglia per tutte quelle che possano essere le spese per l'accaduto - ha detto Adrian Stefanoaia, amico del nipote Serban -. La nonna Aurora era il sostegno principale e il pilastro della famiglia; essendo a casa si occupava con tutto quello che potevano essere le faccende domestiche. Tutto questo è difficile da affrontare con una situazione economica non delle migliori come ormai tutti stiamo affrontando. Quindi mi appello ai nostri connazionali è stato quello di sostenere la famiglia anche con una minima donazione. So già che anche il nostro Comune coordinato dal sindaco Marco Schiesaro si sta già mobilitando per fare il necessario».
Lorena Levorato Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino