PADOVA - «L'unica cosa che puoi fare è non lasciarli soli, supportarli con piccole parole di conforto e magari con un sorriso, che si può intravvedere da...
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Ma il gruppo non si è tirato indietro. «Ci siamo preparati con i dispositivi di protezione che, fino a quel momento, avevo visto indossare solo attraverso lo schermo della Tv – ammette la volontaria -. Questa volta, dietro a quei dispositivi, c'ero io, con la consapevolezza che in questo particolare periodo di emergenza ognuno doveva contribuire e modo suo. Ciò che non dimenticherò mai è lo sguardo disorientato e incredulo delle persone che ti vedevano arrivare». L’attività è sin da sempre stata garantita con camice protettivo, mascherina e visiera. «I famigliari del paziente sono disorientati ed impauriti poiché non lo possono accompagnare all'ospedale – continua Stefania – possono solo restare a casa ed attendere una telefonata o il suo ritorno. In questi casi noi cerchiamo di dare maggiore supporto anche a loro. Dopo quel sabato ho svolto altri servizi nell'ambulanza dedicata al trasporto dei sospetti covid-19. Anche se le persone avevano iniziato ad avere maggiori informazioni, la percezione della paura nei loro occhi ed in quelli dei familiari, non è cambiata».
«UN FILM SENZA FINE»
Altra testimonianza arriva da Federico Faggin, 42 anni, residente a Saonara. «Sono ormai passate diverse settimane da quando in una serata invernale come tante altre il presidente di Croce Rossa Padova, Giampietro Rupolo, ci informava che a causa dei primi casi di covid19 – ricorda Federico - il Pronto soccorso a Schiavonia veniva chiuso. Da allora si è istituita quella che noi chiamiamo ambulanza tipo B, ovvero un mezzo svuotato da quasi tutti quei presidi (in quanto necessita di completa santificazione ad ogni intervento) che sono normalmente presenti in un’ambulanza». In quell’occasione nasce l’ambulanza per Covid-19 della Croce Rossa. «Le prime volte, anche se tra noi non ce lo dicevamo, c’era un po’ di paura – specifica il volontario -. Ora meno, anche perché dal momento in cui indossi divisa e tutti i Dpi è come se si creasse uno scudo inviolabile. Le persone trasportate sono state tante, ma nonostante ci sia poco tempo e sia complicato comunicare a causa di tute, mascherine, occhiali si è quasi sempre creata una certa empatia. Si possono ascoltare le loro storie e leggere nei loro occhi le emozioni. Noi volontari portiamo i pazienti in ospedale: ne sappiamo il motivo ma poi non conosceremo mai l’esito, è come guardare un film senza vedere la fine». La Croce Rossa di Padova conta oltre 1400 volontari. «La storia ci dice che le pandemie finiscono – conclude Federico -, e tutti noi aspettiamo quel giorno anche per il Coronavirus. Quando arriverà quel momento tutta questa brutta storia rimarrà solo nei nostri ricordi, ma la traccia sarà indelebile per chi ha vissuto quest’esperienza da dentro. Henry Dunant, colui che per primo durante la battaglia di Solferino ha avvertito la necessità di creare Croce Rossa, ha indicato i sette principi fondamentali che ancor più nell’emergenza Coronavirus rappresentano un faro da tenere avanti a noi». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino