Coronavirus, manifestazione dei commercianti: luci accese e rabbia silenziosa

Protesta dei locali
PORDENONE - L’immagine è quella di una città spettrale. Buia, deserta con i negozi chiusi e una leggera pioggerellina che cade silenziosa. Alle 21,...

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PORDENONE - L’immagine è quella di una città spettrale. Buia, deserta con i negozi chiusi e una leggera pioggerellina che cade silenziosa. Alle 21, all’improvviso, si accendono le luci. Le vetrine di bar e negozi si illuminano. Resteranno accese sino a tarda sera, per poi spegnersi nuovamente e chissà quanto bisognerà aspettare ancora per vederle riaccese.

LE VOCI E LA RABBIA
Il flash mob #risorgiamoitalia coinvolge tanti commercianti, non tutti. Le stime sono approssimative: hanno protestato in silenzio il 70 per cento di loro. Da Maniago a San VitO. Sono piegati, economicamente e psicologicamente. Ma non si arrendono. Questa mattina consegneranno simbolicamente le chiavi dei loro negozi al sindaco Alessandro Ciriani, poi organizzeranno una nuova protesta. Più passano i giorni e più rischiano di dover chiudere le serrande. Definitivamente. Al bar Bacco di vicolo delle Acque i titolari espongono una cassa da morto, a Le Ciacole di piazza XX Settembre, nel chiostro della biblioteca, Antonio Mazzucchin si fa trovare all’appuntamento in giacca, camicia e boxer: «Siamo rimasti in mutande – non usa mezze parole – la situazione è drammatica. O qualcuno intervenire oppure si rischia di finire gambe all’aria. Penso alla mia famiglia, al fatto che da due mesi non porto a casa un soldo. Voglio lavorare ma non me lo permettono. Giuro: se mi fanno fallire, prendo le valigie e me ne vado all’estero. Questa non è l’Italia che mi rappresenta».
LE BOLLETTE DA PAGARE
In corso Vittorio Emanuele, al bar Portorico l’umore è sotto i tacchi. Il titolare, Andrea Esposito, capo del coordinamento della protesta silenziosa in provincia, mostra un sacco di bollette: «Queste sono appena arrivate. Non le apro nemmeno. Sono tasse, tutte cose da pagare che sono andate avanti. Ma qui non si lavora. Non ci sono i soldi per pagarle e nessuno ci aiuta. Sarei disposto anche ad aprire il primo giugno, anche a settembre, ma se ci fosse un Governo in grado di tenderci la mano. Non di sottometterci e prenderci a pesci in faccia, come sta facendo. Sento quotidianamente colleghi che hanno finito i soldi, che hanno dato fondo a tutti i loro risparmi: non sanno più che fare, dove sbattere la testa. Riaprire? Siamo tutti pronti, ma ci devono permettere di lavorare. Un bar non può sopravvivere servendo due caffè ogni mezz’ora». IL COMPLEANNO AMARO

Salendo verso corso Garibaldi si incontra Antonella Popolizio, presidente regionale di Federmoda. È il suo compleanno, che più amaro di così non poteva essere. «Sono arrabbiata – mostra la vetrina del suo negozio Tezenis – perché tutta quella merce esposta nessuno le comprerà più. È fuori stagione e i fornitori sono da pagare. A spanne ho calcolato già una perdita del 40% rispetto allo stesso periodo delle scorso anno. Non serve dire altro. La situazione è drammatica». A pochi metri di distanza c’è Stefano Erodi. «È una situazione surreale - sottolinea il titolare di Ulysses uomo - ed inconcepibile. Con le norme igieniche che abbiamo sempre seguito, potrei riaprire anche domani. Ma non posso». Salendo ancora Luciano Turchet della fioreria Cristallo indossa una mantella verde, simbolo della speranza, ma subito dopo se la leva e rimane con un camice nero: «Sono in lutto - abbassa lo sguardo - e non so per quanto resterò così». Al bar 0434 Fabio Cadamuro, presidente provinciale della Fipe, chiede al Governo «un’iniezione immediata di liquidità per le imprese e un piano per ripartire in fretta». Di lì a poco arriva anche Alberto Marchiori, presidente di Ascom-Confcommercio. Non ha belle notizie da dare: «Questa crisi farà chiudere il 40% dei nostri esercenti. Una strage. Chiedo a tutti di tenere duro ma le mie rischiano di essere solo parole ridondanti. Cosa mi auguro? Che l’Italia possa risorgere in fretta, ma non sarà facile». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino