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La legge veneta sul controllo di vicinato è incostituzionale. L'ha stabilito ieri la Consulta, a poco più di un anno dall'impugnazione da parte del Governo giallorosso, affermando che spetta soltanto allo Stato legiferare in materia di «sicurezza primaria», che consiste nell'attività di prevenzione e repressione dei reati, mentre alle Regioni è consentito prevedere interventi a sostegno della «sicurezza secondaria», cioè quella che mira a rafforzare la cultura della legalità nel contesto sociale e a rimuovere le condizioni in cui può svilupparsi la criminalità. «Questa è una sentenza che suscita non solo forti perplessità ma anche autentica preoccupazione», commenta il leghista Roberto Ciambetti, primo firmatario della proposta che il 31 luglio 2019 era stata approvata all'unanimità dall'assemblea legislativa di cui è presidente.
IL TESTO
Si tratta delle Norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di vicinato nell'ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della sicurezza e della legalità. Come ricorda la Corte Costituzionale, il testo mirava a promuovere la «funzione sociale del controllo di vicinato come strumento di prevenzione finalizzato al miglioramento della qualità di vita dei cittadini», favorendo la stipula di accordi in materia tra le prefetture e le amministrazioni locali, sostenendone in vario modo l'attività e istituendo una banca dati per il monitoraggio dei relativi risultati.
I giudici riconoscono che la norma esclude esplicitamente, dai compiti del controllo di vicinato, la «possibilità di intraprendere iniziative per la repressione di reati o comunque incidenti sulla riservatezza delle persone».
Pure l'idea della banca dati «mira ad affermare un ruolo della Regione nello specifico e ristretto ambito della sicurezza primaria riservata allo Stato, costituita dall'attività di prevenzione dei reati in senso stretto». Chiosa la Consulta: «Tutto ciò, peraltro, senza che risulti chiaro quali siano i precisi ambiti materiali, distinti appunto dall'ordine pubblico e dalla sicurezza, e in ipotesi riconducibili alla sfera di competenza regionale, interessati dalla disciplina». Secondo la Corte Costituzionale, oltretutto, la legge veneta non può trovare copertura nemmeno nel decreto 14 del 2017 sulla sicurezza urbana, il quale «certo non conferisce alle Regioni la possibilità di legiferare con specifico riferimento alla promozione e organizzazione del coinvolgimento di gruppi di soggetti residenti nello stesso quartiere o in zone contigue o ivi esercenti attività economiche impegnati in attività di osservazione, ascolto e monitoraggio funzionali alla prevenzione generale e al controllo del territorio». Per tutto questo, dunque, la norma regionale è illegittima.
IL PARLAMENTO
In tale materia, di conseguenza, deve (o può, rimarcano i magistrati) intervenire il Parlamento: «La presente pronuncia di illegittimità costituzionale riposa esclusivamente sulla ritenuta invasione, da parte della Regione, delle competenze riservate dalla Costituzione al legislatore statale. Resta ferma naturalmente la possibilità, per la legge statale stessa, di disciplinare il controllo di vicinato, eventualmente avvalendosi del contributo delle stesse Regioni, come possibile strumento funzionale a una piena attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale (...) di partecipazione attiva e responsabilizzazione dei cittadini anche rispetto all'obiettivo di una più efficace prevenzione dei reati, attuata attraverso l'organizzazione di attività di ausilio e supporto alle attività istituzionali delle forze di polizia». Ma per Ciambetti la sentenza, con cui «la Corte cassa completamente una legge applicata con successo dalle Prefetture», è un sintomo di quel «neocentralismo che si respira di questi tempi» e che «è un pericolo mortale per la democrazia».
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