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CORTINA - Sistemare l’antico cippo di confine, che risale alla seconda metà del Settecento, posto in località Dogana Vecchia, fra i territori comunali di Cortina d’Ampezzo e San Vito di Cadore. È la proposta emersa nella recente assemblea delle Regole d’Ampezzo, sollecitata dalla lettura dell’elenco delle opere svolte nel 2022, fra le quali compare il lavoro di sistemazione e innalzamento del cippo di confine con Dobbiaco, a nord del paese.
L’OBIETTIVO
«Perché non si possono evidenziare tutti i confini storici del nostro territorio, agli ingressi in valle, sui valichi Giau, Falzarego, Tre Croci, e lungo la Valle del Boite, a Dogana Vecchia?», hanno chiesto i regolieri in sala. È stato evidenziato il cattivo stato di conservazione di questo cimelio, una lastra di pietra rossastra, alla quale un tempo erano addossate le lapidi di confine, il leone di San Marco della Repubblica Serenissima di Venezia da una parte, l’emblema dell’Impero degli Asburgo dall’altra. La risposta non ha dato adito a speranza: «Il cippo è su un terreno di pertinenza di Anas, che ha posizionato attorno a quel termine antico alcuni blocchi di cemento, per proteggerlo. La stessa Sovrintendenza ne ha sollecitato la tutela, ma le Regole non possono occuparsene».
LO STATO
Finito il lavoro, la pietra di confine è tornata al suo posto, ma è in cattive condizioni di conservazione, spezzata alla base. Nulla ne indica il significato e il valore. Da decenni, ogni amministrazione comunale che si è succeduta in municipio ha inserito nel programma elettorale la posa di segnali per evidenziare l’ingresso a Cortina d’Ampezzo, sui valichi e verso il Cadore, ma sinora senza dare concretezza ai propositi. Anche a Dogana c’è la semplice tabella di lamiera, con il nome della località. Sul lato opposto dello stradone c’è un’altra lapide, che ricorda un fatto luttuoso, di storia più recente, accaduto giusto ottant’anni fa. Il 27 luglio 1944 furono ammazzati due ampezzani, che erano di guardia a quella dogana, ripristinata dopo l’8 settembre 1943, quando Ampezzo fu compreso nell’Alpenvorland, una zona sottoposta a diretta amministrazione militare tedesca. Durante una incursione notturna, partigiani cadorini mitragliarono nelle loro brande Gino Bellodis di 37 anni e Enrico Sottsass di 31, sposati con figli, che prestavano servizio nella Sicherheist und Ordnungdienst, una milizia territoriale germanica. Versioni divergenti dell’accaduto compaiono nel romanzo “I giorni veri” di Giovanna Zangrandi e nel recente studio “Cortina d’Ampezzo 1917 – 1945 – Il Fascismo e gli anni della speranza” dello storico cadorino Mario Ferruccio Belli. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino