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Sulla carta sono più di 100. Ma in pratica non sono più di 70 i selecontrollori “ingaggiati” dall’Ente Parco per abbattere i cinghiali. Per la Regione Veneto, tuttavia, non è il numero ma la qualità degli operatori a fare la differenza. Nel piano di contenimento della peste suina, Palazzo Balbi ha infatti individuato dei parametri operativi per i cacciatori. Imponendo che ciascuno di loro metta al proprio attivo ogni anno almeno l’abbattimento di 3 capi. Al di sotto di questo standard il selecontrollore sarà messo in “stand by” ed essere sospeso per le successive battute di caccia. «Non sono gli unici parametri indicati dalla Regione – commenta il Presidente dell’Ente Parco, Riccardo Masin – a condizionare l’attività dei cattura dei capi selvatici per l’immediato futuro. All’Ente Parco è stato infatti chiesto di ridurre a 10 capi la densità dei cinghiali per chilometro quadrato, e di fare in modo che almeno il 65% degli esemplari abbattuti siano femmine».
I risultati
I risultati raggiunti sinora dai selecontrollori del Parco sembrano già aver assimilato i nuovi indici regionali. Alla fine del mese scorso, infatti, sono stati circa 2300 i capi abbattuti. Una cifra record che proietta per la fine del 2022 il quoziente dei capi selvatici eliminati al tetto dei 3 mila. «È un risultato lusinghiero – spiega il vice Presidente dell’Ente, Antonio Scarabello – se si pensa che gli ungulati uccisi lo scorso anno furono 1917 ed appena 1335 un anno prima». A migliorare il lavoro ed i risultati dei selecontrollori, a dire il vero, ci hanno pensato anche gli stessi fondi regionali. Palazzo Balbi ha di recente stanziato 220 mila euro per finanziare il piano di lotta contro la fauna selvatica, consentendo l’acquisto di mezze e strutture a supporto dei cacciatori.
Carne a ruba
Il salto di qualità voluto dalla Regione per l’abbattimento dei cinghiali per il contenimento del rischio di diffusione della peste suina, è letto con soddisfazione non solo dagli agricoltori, ma dagli stessi commercianti delle carni dei capi abbattuti. A Solesino, il macello di Simone Martini, unica struttura finora titolata a vendere i prodotti provenienti dalla lavorazione degli ungulati, conferma che le vendite stanno andando a gonfie vele. «Davanti ai costi della carne di manzo e di vitello che oscillano dai 20 ai 35 euro al chilo – spiega il titolare – e che aumentano per il rincaro dei costi di allevamento, molti preferiscono dirottare sul cinghiale, che si mantiene stabile ad un costo fra i 12 ed i 14 euro al chilo. Gli ungulati non contemplano costi di allevamento, assicurando al contrario prodotti altamente “biologici”. Un motivo in più per incrementarne le catture. Con piena soddisfazione per il raggiungimento degli “standard” richiesti dalla Regione e dal Parco Colli».
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