Luca Zanfron alla Mostra internazionale del Cinema di Venezia. Non in veste di fotografo accreditato, neppure come spettatore. Dopo aver interpretato suo papà...
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A proposito di panni da forestale: dove ha trovato la divisa, visto che non esistono più?
«La regia pretendeva il forestale vestito da forestale. Originale. C'è stata una sentita collaborazione da parte dei forestali di Belluno, a cominciare dal comandante provinciale Paolo Zanetti che mi ha dato i nominativi di chi poteva aver conservato a casa la divisa originale. Ecco che l'ex comandante di Longarone, Pier Angelo Masarei, e l'attuale comandante di Termine di Cadore, Salvatore Danieli, hanno tirati fuori dagli armadi, con generosità, giacche estive e invernali, mostrine, fondine, scarponi. Avevo tutto».
Insomma lei assomiglierà al Pietro della serie televisiva Un passo dal cielo interpretato da Terence Hill e Daniele Liotti?
«Non vado a fare tuffi nel lago, neppure bagni nel torrente. Non prendo in braccio le attrici. È un film crudo, in cui non si sentono accenti romani per raccontare la montagna».
Ci si innamora? ci sono scene d'amore?
«Chi lo vede si innamora della montagna».
Nel 2000 ha impersonato suo padre, Bepi Zanfron, il noto fotografo che fissò nei suoi scatti la tragedia del Vajont che portò alla morte 2000 persone. Che differenza con la parte in questo film?
«Avevo 30 anni, la stessa età che aveva mio papà nel 1963. Mi è stato facile perché facevo una parte che sapevo fare, ovvero il mio lavoro di fotografo. Per prepararmi al film La Val che urla ho dovuto, invece, ascoltare, imparare. Soprattutto pensare da forestale».
Come mai la regista le ha chiesto di entrare nel cast?
«Ho conosciuto Lucia Zanettin alcuni anni fa, in Nevegal, quando venne a presentare il docu-film Le stelle di Celi, in cui si racconta la vicenda sportiva del fondista Marcello De Dorigo, amico di mio papà, morto qualche mese prima. Volevo, in realtà, proprio incontrare De Dorigo, per farmi dire qualcosa sul loro legame. Marcello non venne, ma conobbi la forza e la bravura della regista, capace di entrare dentro le pieghe della vita di montagna. A fine 2017 mi ha chiesto se ero disponibile per la parte del forestale».
Arriviamo, quindi, al film, della durata di quasi due ore, che è stato girato tra le province di Trento e Belluno, con un interno a Taibon (a Radio Più).
«Molte scene sono state girate nella Valle del Vanoi, in Primiero, ma morfologicamente l'ambiente è uguale al Bellunese. C'è un ingegnere cinquantenne che perde il lavoro, lascia la città per vivere in un paesino, quello dell'infanzia, dove trova la neve, filo rosso della vicenda. Avviene, poi, un omicidio. E Luca, il forestale, inizia ad indagare».
Il finale?
«Si tratta di un noir, non si può rivelare. Il paesaggio è selvaggio, l'atmosfera cupa. E avviene il colpo di scena».
Daniela De Donà Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino