PORDENONE - Dal 1998 a oggi ha girato buona parte delle 188 canoniche (se non proprio tutte) di Concordia-Pordenone per cercare notizie sui sacerdoti dell’ultimo...
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«Purtroppo - introduce il discorso - la sparizione di troppi piccoli e grandi tesori dai luoghi sacri si rileva dalle note nei registri di cassa delle parrocchie, diversi dei quali mancano all’appello». Non è solo colpa dei furti. «Certo che no - allarga le braccia -. Per esempio nell’immediato Dopoguerra, in perfetta buona fede, un prete cedette un quadretto per 50 mila lire, 25 euro di oggi, non sapendo chi ne fosse l’autore». L’acquirente, che invece aveva intuito subito l’affare straordinario, lo fece stimare e valutare: «Era di Giovanni Antonio de’ Sacchis - rivela -, detto Il Pordenone».
Ma per capire il fenomeno bisogna partire da lontano. «Il cameraro, eletto dall’assemblea dei capifamiglia, era l’amministratore dei beni della chiesa - racconta Strasiotto -. Questa figura è stata abolita all’inizio dell’Ottocento per lasciare il posto ai fabbricieri, a loro volta sostituiti una quarantina d’anni fa dal Consiglio per gli affari economici. Ebbene, a Pravisdomini nel 1797 si registra la spesa per l’acquisto di un crocifisso perché l’edificio è stato totalmente spogliato dai francesi, come il tempietto della Madonna della Salute. Dopo i bonapartisti, molte altre razzie si registrarono durante l’occupazione austro-ungarica».
E i furti? «Ce ne sono stati, in tempi recenti, anche di clamorosi - elenca l’ex sindaco -. Cito quello avvenuto una ventina d’anni fa proprio a Sesto al Reghena. I ladri, penetrati di notte da una finestrella, rubarono 28 pezzi, tra opere d’arte e reperti d’epoca romana. L’immagine di San Nicolò a Frattina sparì intorno al 1980, quando la chiesa rimase chiusa per la manutenzione».
Casi grotteschi? «La statua di uno scultore molto quotato venne gettata nel ’57 per due rotture riparabili - ricorda Strasiotto -. Non c’era ancora la cultura del restauro, radicatasi solo dopo il terremoto del ’76. È frequente il caso di corpi lignei colorati più volte, fino a perdere le sembianze originali. Dopo l’Orcolat le statue dei paesi di montagna furono trasportate nei laboratori per essere sistemate. Una volta tornate in sede i fedeli non le riconobbero, sostenendo che erano state sostituite».
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Il Gazzettino