Cgia, la rottamazione degli studi di settore segna la fine di un incubo

Cgia, la rottamazione degli studi di settore segna la fine di un incubo
VENEZIA - La Cgia di Mestre snocciola i dati e fa capire come la rottamazione degli studi di settore, prevista per il prossimo anno, secondo le disposizioni previste nel decreto...

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VENEZIA - La Cgia di Mestre snocciola i dati e fa capire come la rottamazione degli studi di settore, prevista per il prossimo anno, secondo le disposizioni previste nel decreto che contiene la manovra correttiva attualmente in via di approvazione in Parlamento, per molti sarà la fine di un incubo. Dopo 18 anni di vita dellos trumento sono poco più di 3,5 milioni le partite Iva sottoposte ai 193 studi di settore attivati dall'Amministrazione finanziaria. E oltre il 73% dei contribuenti (pari a 2,6 milioni di attività) è congruo, ovvero rispetta le richieste avanzate dall'Amministrazione finanziaria. Negli anni, gli studi di settore hanno garantito un grosso apporto di gettito alle casse del Stato. Dal 1998, anno della loro introduzione, al 2015 (ultimo dato disponibile), a fronte di 49,2 miliardi di euro di maggiori ricavi ottenuti attraverso l'adeguamento spontaneo in sede di dichiarazione dei redditi, questi si sono tradotti, secondo una stima elaborata dall'Ufficio studi della Cgia, in 19,6 miliardi di euro di tasse in più versate all'erario.


Questi contribuenti, tuttavia, rimangono ancora nel mirino del fisco visto che ogni anno rischiano di subire un accertamento fiscale, sebbene per gli studi di settore risultino soggetti fedeli al fisco. Nel 2016, infatti, sono stati poco meno di 368.500 gli accertamenti in materia di Iva, Irap e imposte dirette che hanno interessato le imprese potenzialmente soggette agli studi di settore. «Chi nel prossimo futuro rispetterà le disposizioni previste dagli indici di affidabilità fiscale non dovrà più essere sottoposto ad alcuna attività accertativa - dichiara il segretario della Cgia Renato Mason - inoltre, bisognerà limitare al massimo il numero di controversie per togliere quell'ansia da fisco che, purtroppo, continua a investire molti piccoli imprenditori. Per questo sarà necessario introdurre un regime premiale a beneficio di coloro che sono in regola con le richieste dell'Amministrazione, così come era stato annunciato verso la seconda metà degli anni '90 in sede di presentazione degli studi di settore che, in seguito, è stato clamorosamente disatteso». Tra i 3,5 milioni di contribuenti soggetti agli studi di settore, a livello territoriale è Roma la provincia che ne conta di più: 244.000. Seguono le province di Milano (221.480), Napoli (133.237), Torino (129.527), Brescia (80.652), Firenze (71.295), Bologna (68.150), Bergamo (67.124), Padova (65.505) e Bari (65.461). In coda alla classifica, invece, troviamo Enna (6.642), Gorizia (6.541), Carbonia-Iglesias (4.950), Isernia (4.775), Medio Campidano (3.949) e Ogliastra (2.926).
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Il Gazzettino