Casa e soccorso Cecilia, prima capostazione in Veneto

Cecilia de Filippo
 È quasi alla scadenza del suo secondo mandato, vanta il primato di prima donna a capo di una stazione Cnsas del Veneto e, con la sua ventata d’aria fresca ed...

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 È quasi alla scadenza del suo secondo mandato, vanta il primato di prima donna a capo di una stazione Cnsas del Veneto e, con la sua ventata d’aria fresca ed entusiasmo ha dato una svolta al soccorso alpino. Lei è Cecilia De Filippo, 40 anni a luglio, capostazione della Val Comelico che guida una quindicina di uomini. Infermiera, vive a Campolongo con il compagno Gino De Zolt, da cui ha preso il testimone del comando. Ha visto cambiare negli anni il Cnsas, che è sempre più rosa. Ha al suo attivo circa 120 interventi di soccorso coordinati nei 5 comuni del Comelico (Santo Stefano, San Pietro, Comelico Superiore, Danta, San Nicolò).

Come hai iniziato?
«Iniziai nel 2003 a San Vito di Cadore. Quando entrai nel Soccorso alpino infatti abitavo con mia mamma a San Vito e con un’amica abbiamo chiesto di diventare volontarie. Non nego che non è stato facile, anzi direi proprio che non ci volevano. Quando arrivava l’elicottero, non chiamavano certo noi, ma se c’era da far fatica sì. Negli anni le cose son cambiate. Ora come volontarie Cnsas ci sono tante infermiere e dottoresse che hanno un modulo agevolato per entrare». 
Il segno che qualcosa è cambiato è che tu sei stata la prima donna capostazione, come è accaduto?
«In realtà a dirla tutta sono diventata capostazione perché nessuno lo voleva fare, visto l’impegno anche “burocratico” che richiede, negli incontri istituzionali. Era dicembre 2014, avevo 33 anni: il mandato è di tre anni, al termine del quale sono stata confermata».
Come concili lavoro famiglia e l’impegno del soccorso alpino?
«In casa siamo solo io e il mio compagno e c’è parità anche nelle faccende domestiche. Ho lavorato fino a settembre dell’anno scorso al Suem come infermiera: ho fatto più di 11 anni a Pieve, poi mi sono licenziata. Ora lavoro part time in casa di riposo a Santo Stefano e questo mi consente di avere più tempo. C’è da sottolineare che tutto sommato non è un grosso impegno: ci troviamo ogni mercoledì la sera a fare esercitazioni, poi soccorsi da fare in stagione e gli incontri con le istituzioni. I 4 incontri di delegazione all’anno e due regionali. L’esercitazione con elicottero annuale e le due o tre in ambiente, oltre alla calata in parete. E nei pomeriggi di brutto tempo vado a pulirmi la sede». 
Il tuo è un compito non facile che richiede forza fisica e mentale. Quanto è dura? 
«Me la cavo: ho sempre fatto corsa in montagna e per arrivare prima in un posto non ho mai avuto problemi. Con gli uomini? C’è collaborazione. Sì ogni tanto qualche battuta scappa, ma quando c’è da fare si sta zitti e si lavora. Poi ovviamente, come accadeva anche nei soccorsi da infermiera, se c’è da portare qualche barella con carchi pesanti sono loro in prima fila».
Cosa ritieni di aver portato di nuovo, rispetto al passato? «Una gestione famigliare, le persone son più coinvolte, una vota forse ambiente più chiuso: oggi in stazione siamo 12 effettivi e 4 giovani aspiranti. Le donne portano un punto di vista differente e forse anche nelle Regole ci vorrebbe qualche donna in più».
Il soccorso che ricordi di più?
«Le tragedie e le cose brutte fortunatamente si dimenticano ma ricordo un motociclista che era rimasto bloccato in Val Frison e che dopo essere stato salvato ha voluto fare subito una donazione al soccorso alpino. Poi le lettere, i ringraziamenti». 
Consiglieresti a una donna di entrare nel Cnsas?

«Se è tanto impegnata tra lavoro e famiglia forse no, ma se ha tempo è sicuramente un’esperienza che cambia la vita». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino