«Sono in carcere da 2 anni in Messico da innocente. Malato e vengo picchiato, aiuto», l'appello di Alessandro, 57enne di Cavarzere

«Sono in carcere da 2 anni in Messico da innocente. Sono malato e vengo picchiato, aiuto», l'appello di Alessandro, 57enne di Cavarzere
CAVARZERE - «Mi chiamo Alessandro Bozzato e da due anni sono in carcere, in Messico, per un delitto che non ho commesso. Non posso ricevere visite, sono malato e già...

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CAVARZERE - «Mi chiamo Alessandro Bozzato e da due anni sono in carcere, in Messico, per un delitto che non ho commesso. Non posso ricevere visite, sono malato e già diverse volte sono stato picchiato e maltrattato. Aiutatemi a uscire di qui». La voce di Bozzato riesce appena a superare il frastuono dell'ambiente che lo circonda: fischi, grida e rumori che si sovrappongono nel caos di quell'angolo del carcere dove si trova il telefono che è il suo unico mezzo di comunicazione con l'esterno. Un privilegio che costa denaro, come tutto dentro la prigione di Queretaro, in cui Bozzato si trova e che potrebbe essergli tolto in qualsiasi momento. Ma come ci è finito Bozzato in quel carcere? E perché? «Ho ammesso di essere il mandante dell'omicidio di due miei "soci" in affari, perché ero minacciato di morte. Mi è sembrato il male minore», dice. Di Bozzato le cronache giornalistiche si erano occupate cinque anni fa. E' originario di Cavarzere, dove vive ancora sua sorella Erika, alla quale aveva inviato, all'epoca, alcuni messaggi disperati in cui diceva di essere braccato da trafficanti di droga e ricercato dalla Polizia e di temere per la propria vita, sia che l'avessero trovato gli uni, che gli altri.

LA VICENDA

«Non voglio tornare in Italia da morto», aveva scritto in uno dei messaggi inviati con un cellulare usa e getta, che cambiava continuamente perché non venisse rintracciato il luogo in cui si nascondeva. La sorella si era rivolta a un legale, l'avvocato Sofia Tiengo, di Rovigo, la quale aveva preso a cuore la causa di Bozzato e aveva denunciato pubblicamente la sua condizione di latitanza forzata, interessando la Farnesina e l'ambasciata italiana in Messico. Era verso la fine di gennaio del 2018 e dall'inizio di febbraio, di Bozzato non si era saputo più nulla. Ora, sempre tramite la sorella, si è rifatto vivo: non è più latitante, si trova in carcere da due anni e dovrebbe restarci per altri tre, ma le sue condizioni di salute sono tali che teme di non farcela. «Ho un testicolo ingrossato causa idrocele spiega per il quale dovrei essere operato. Così mi ha detto il medico che, solo di recente, da quando sono in carcere, ha potuto vedermi. Ma per le autorità di qui, non posso andare in ospedale, perché sono detenuto in regime speciale. Soffro di lombalgia, conseguenza di una vecchia caduta dalla moto, che mi dà dolori intensi, acuiti dal fatto che devo dormire in un "letto" arrangiato su una piastra di cemento. Devo chiedere continuamente degli antidolorifici, ma me li danno solo quando vogliono loro e poi mi lasciano senza, per mesi interi». E questa è la "normalità" che può peggiorare improvvisamente per qualsiasi motivo, anche indipendente dal comportamento di Bozzato che, ovviamente, cerca di rimanere sempre sottotraccia, malgrado il malessere in cui vive. «Ogni giorno rischio di essere picchiato, non ho un'assistenza legale certa, non posso vedere la mia compagna e neppure l'ambasciata si interessa a me, perché, credendo di salvarmi, ho confessato quel duplice omicidio che non ho commesso e "non si può più fare niente", mi dicono».

Alessandro Bozzato ha 57 anni. Era emigrato in Messico 25 anni fa e, stabilitosi nello stato del Queretaro, aveva fatto fortuna, avviando varie attività economiche (edilizia, farmaci, cosmetici, ecc.) al punto da poter mettere in piedi anche una finanziaria con la quale, dice «prestavo soldi a tutti: politici e personaggi importanti che ora approfittano della mia condizione per "dimenticarsi" il debito che hanno nei miei confronti». E il denaro che, cinque anni fa, ha "protetto" la sua fuga, ora non sembra più bastare a proteggergli la vita, nella lunga attesa di un'amnistia che, gli avevano detto, sarebbe arrivata nel giro di cinque anni.
 

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Il Gazzettino