Serenissima, scoppia il caso ​Donazzan: «Da che parte sta?»

Elena Donazzan
In Regione Veneto non è crisi di giunta, ma la questione Donazzan esiste. E non solo perché il suo acerrimo alleato Sergio Berlato l'ha posta formalmente sul...

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In Regione Veneto non è crisi di giunta, ma la questione Donazzan esiste. E non solo perché il suo acerrimo alleato Sergio Berlato l'ha posta formalmente sul tavolo, quanto perché la Lega la condivide. Parola del capogruppo Nicola Finco: «Berlato ha ragione, l'assessore Donazzan che non perde occasione per attaccare questa maggioranza deve decidere da che parte stare».


Colpa di due eventi concomitanti: il consiglio straordinario per i 220 anni dell'ammainabandiera della Repubblica Serenissima e l'adunata degli alpini. Tutto ieri mattina. L'assessore di Forza Italia ha scelto le penne nere e non ha risparmiato critiche a chi, come il presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti, peraltro alpino, ha consentito che si svolgesse la seduta dell'assemblea legislativa. È così che il capogruppo di Fratelli d'Italia, Berlato, intervenendo alla fine del dibattito a Palazzo Ferro Fini, ha tuonato: «Io sono orgogliosamente alpino e il mio personale piacere oggi sarebbe stato quello di andare con gli alpini. Sono anche diventato nonno da poche ore e il mio personale piacere sarebbe stato di accogliere mia figlia e la mia nipotina Vittoria che oggi uscivano dall'ospedale. Ma sono qui perché ritengo che prima del piacere prevalga il dovere e il dovere dei consiglieri regionali è di essere presenti anche se gli argomenti non entusiasmano». Altra bordata: «È stata stigmatizzata l'assenza delle opposizioni, ma ritengo ancora più grave l'assenza di alcuni componenti della maggioranza, perché non si sta in maggioranza solo quando conviene». Anche se tra gli assenti figuravano pure il governatore Zaia («È all'inaugurazione della Biennale», l'ha giustificato Ciambetti, ma alla Biennale Zaia non l'hanno mai visto) e i consiglieri Boron e Brescacin, l'attacco di Berlato era chiaramente diretto a Donazzan, l'unica nei giorni scorsi a contestare la convocazione del consiglio, tanto che nella chat interna del Carroccio ci sono stati non pochi maldipancia. Ebbene, Berlato alla Lega ha chiesto di intervenire: «Non può esserci solo un richiamo all'ordine, il problema è politico e serio. Si deve decidere da che parte stare. E io ho scelto di stare con la maggioranza, pur non avendo i benefici che altri hanno avuto». Tradotto: Donazzan l'avete fatta assessore e continua a spararvi addosso.
E, al termine della seduta, Finco dà ragione a Berlato: «Noi abbiamo sempre rispettato le idee della Donazzan anche se il suo modo di fare non è sempre consono». Cioè? «Difende sempre il fascismo!». E quindi? «Quindi deve decidere da che parte stare». Dal Grappa, dove ha partecipato all'alzabandiera degli alpini sul Piave mettendosi in congedo («Quindi non percepirò il gettone»), Donazzan non si scompone: «So benissimo da che parte stare: quella dei veneti». Poi ammicca: «Pensavo che in consiglio dovessero parlare della Serenissima, non di me. Sono così importante?».

Per la cronaca: la seduta è stata preceduta da una relazione storica del professor Giusepe Gullino sulla figura e i tormenti dell'ultimo doge Ludovico Manin. Dell'opposizione c'erano solo Dalla Libera («Orgoglioso di essere presente e di consentire che questo consiglio si celebri», e giù applausi della Lega) e Ferrari (gli unici poi rimasti fino alla fine), mentre Berti e Baldin hanno ascoltato il docente e poi se ne sono andati. La loro collega Bartelle ha disertato al grido «Ma quali veneziani, noi siamo austriaci», mentre Piero Ruzzante si è presentato «per rispetto delle istituzioni e del regolamento», ma poi se ne è andato: «Invece di prendere in giro i veneti con chiacchiere sull'autonomia, si convochi un consiglio straordinario sul lavoro che non c'è e sulle morti bianche», annunciando peraltro che quando il decreto di convocazione del referendum del 22 ottobre sarà pubblicato sul Bur, lo impugnerà al Tar. L'assenza del Pd è stata criticata dai leghisti, in compenso il tosiano Conte ha rimarcato che non c'era neanche Zaia.


In un'ora e mezza, dall'intervento introduttivo di Sandonà a quello conclusivo di Ciambetti («Si può fare questo e quello, stamattina ero dagli alpini e adesso sono qui. Ogni tanto penso che qualcuno in quest'aula si vergogni di essere veneto»), il 220° della caduta della Serenissima è finito in archivio. Non che a Palazzo Ducale ci sia stato più entusiasmo: contando anche l'ultimo doge Albert Gardin, erano in otto i venetisti a leggere un proclama per chiedere di arrivare a una Campoformido 2. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino