Chiodo nel braccio e ingiurie , 3 sottufficiali alpini condannati per nonnismo

Chiodo nel braccio e ingiurie , 3 sottufficiali alpini condannati per nonnismo
BELLUNO - «Ci fu nonnismo alla caserma Salsa». Lo ha confermato il giudice Angela Feletto, con la sentenza pronunciata ieri intorno alle 18, in Tribunale a Belluno. Al...

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BELLUNO - «Ci fu nonnismo alla caserma Salsa». Lo ha confermato il giudice Angela Feletto, con la sentenza pronunciata ieri intorno alle 18, in Tribunale a Belluno. Al centro del processo quanto accaduto tra Belluno e Tolmezzo tra il 5 maggio 2016 e il giugno dello stesso anno. Nel mirino di tre “superiori” un militare 25enne campano, caporale maggiore, inferiore gerarchico degli imputati. Era costituito parte civile con l’avvocato Mario Palmirani (segretario dell’ordine avvocati del Foro di Santa Maria Capua Vetere): ha ottenuto un risarcimento di 2mila euro per quanto passato e il risarcimento delle spese. «Giustizia è stata fatta», ha detto.

LA CONDANNA
Ieri i tre suoi presunti aguzzini, tre sottufficiali alpini dell’esercito italiano della Brigata alpina Julia-Settimo Reggimento, residenti in città, sono stati condannati a 8 mesi e 10 giorni di reclusione ciascuno (con la condizionale e non menzione nel casellario giudiziale. Si tratta del sergente maggiore Francesco Caredda, 41enne napoletano comandante del plotone dove c’era il militare parte offesa, del caporal maggiore scelto Fabio Siniscalco, 31enne e del caporal maggiore capo Salvatore Garritano 35enne (per tutti avvocato di fiducia Antonio Vele di Napoli). Erano chiamati a rispondere di violenza privata, lesioni, violenza contro un inferiore (articolo 195 del Codice penale militare di pace, ovvero il cosiddetto fenomeno del nonnismo) e del reato militare di ingiuria (articolo 196 codice militare), che però non è più previsto dalla legge come reato e per il quale sono stati assolti. Il giudice però li ha condannati per gli altri capi di imputazione: lesioni, nonnismo e violenza privata. 
L’ACCUSA
I fatti contestati erano pesantissimi e sono venuti a galla grazie al 25enne, che riuscì a trovare la forza di raccontare quello che stava subendo. Secondo quanto ricostruito dalla Procura i superiori avrebbero addirittura colpito il 25enne ripetutamente alla spalla sinistra con un chiodo, durante l’addestramento. Poi epiteti come «Ciccione», «Non sei capace di fare niente», «Io ti faccio congedare». E ancora cestini di spazzatura gettati nel letto, fino all’episodio del televisore sottrattogli dai suoi superiori. Il pm Sandra Rossi ha ripercorso questi fatti: «Sembra sia stato ampliamente travalicato il limite della goliardia, ma anche del cosiddetto addestramento sotto stress». E ha concluso chiedendo 1 anno e 9 mesi per ciascuno 
LA DIFESA

Il processo, che nei mesi scorsi stava per arrivare alla sentenza, era stato riaperto dal giudice che non aveva le idee chiare, visto che una parte di testi avevano dato una versione, un’altra parte un racconto opposto. Ieri sono stati sentiti altri 9 militari. «Abbiamo sentito due versioni talmente diverse - ha detto loro il giudice - che qualcuno da una parte o dall’altra finirà nei guai». Come a dire che ci potrebbero essere strascichi per falsa testimonianza. Infine hanno parlato gli imputati. Il superiore Caredda si è difeso spiegando il metodo che viene utilizzato per addestrare un tiratore scelto, affermando che non era nonnismo, ma solo stress indotto per l’addestramento. Non è bastato, come nemmeno l’evidenziare l’errore di data della parte offesa è arrivata la condanna. La difesa ha già annunciato Appello. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino