Carmencita e gli altri, la pubblicità da sogno: a Venezia la monografica di Armando Testa

Carmencita e gli altri, la pubblicità da sogno: a Venezia la monografica di Armando Testa
«La pubblicità è sintesi. Quello che ha da dire sul piano culturale, è proprio il modo di farla breve nel dire le cose». Così, nel 1990,...

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«La pubblicità è sintesi. Quello che ha da dire sul piano culturale, è proprio il modo di farla breve nel dire le cose». Così, nel 1990, Armando Testa raccontava la pubblicità, non solo come mondo a sé con i suoi linguaggi in costante divenire, ma come “metodo” di narrazione, estendibile – e di fatto, spesso esteso – a qualsiasi altro ambito di comunicazione e racconto. Alla sua filosofia e ai suoi personaggi divenuti iconici, che hanno cresciuto – si pensi all'ippopotamo blu, Pippo, ideato per la Lines – più di una generazione, alimentando anche le relative fantasie di consumo, è dedicata la mostra Armando Testa, a cura di Gemma De Angelis Testa, Tim Marlow ed Elisabetta Barisoni, che, visitabile fino al 15 settembre, inaugura la nuova stagione espositiva di Ca' Pesaro a Venezia. 

La ricerca grafica


Un viaggio nella ricerca grafica, che prende le mosse dall'arte, guardandola come ispirazione – era un grande appassionato – e, di fatto, anche come traguardo, visto che molti dei suoi lavori di ieri, oggi sono nei patrimoni museali. Un esempio per tutti, le collezioni civiche veneziane che vantano ben diciassette opere del maestro – forse bisognerebbe dire il “rivoluzionario” - della pubblicità. E più ancora, l'ideatore di un preciso immaginario, che si fece segno di un'epoca e soprattutto del Paese. 
Ecco allora la pubblicità del digestivo Antonetto, nel 1960, in un contrasto di rosso e nero, frutto dei suoi studi tipografici, che del classico gesto usato per indicare il mal di stomaco finiva per fare confortante abbraccio. E, nello stesso anno, la sfera rossa sospesa sopra la mezza sfera del Punt e Mes, che in dialetto significa “un punto e mezzo”. Poi, nel 1965, il trionfo di Caballero e Carmencita per il caffè Paulista di Lavazza, con le loro storie per Carosello, capaci di tenere davanti allo schermo adulti e bambini. 

E sì che i due personaggi erano nati quasi come sfida personale e risposta al boom di spot televisivi. Armando Testa, che non aveva mai lavorato a cartoni animati, decise di mettersi alla prova: «Prima mi disegno un pupazzo, un cono di gesso, con sopra un cappellino e parrucchette. Questi pupazzetti senza braccia e senza mani allora erano una novità nel mondo». E sarebbero stati una grande novità anche gli abitanti del pianeta Papalla per i televisori Philco, nel 1966. Di nuovo personaggi senza braccia e senza gambe, che però, sferici, aprivano nuove dinamiche narrative. Nello stesso anno, Pippo per Lines. Nel 1968, le pubblicità per Olio Sasso e birra Peroni. E molto altro. 
Il segreto? Lo spiegava lo stesso Testa: «Utilizzare il minimo di segni per raggiungere il massimo dell'emozione». Perché la pubblicità migliore è quella «chiara, ricordabile e che diverte un po'». E così, quelle figure che ieri facevano “cronaca” del consumo, oggi hanno anche – indiscutibile – il sapore della nostalgia di un'età e di un Paese più felice, pronto a farsi sorprendere o incantare da nuovi desideri, fiabe, personaggi, miraggi forse. Sempre, storie. Non stupisce che molti degli oggetti legati ai personaggi di Testa o magari i personaggi stessi, all’epoca realizzati in gomma per concorsi o specifiche raccolte punti, ora passino anche per aste e vendite tra collezionisti. Nel “dietro le quinte” di questa conquistata semplicità c'erano grandi intuizioni – Gillo Dorfles, per Testa, usò la definizione «visualizzatore globale» - e molto studio. 

Il primo concorso vinto


Ed è anche questo percorso meno noto, raramente “pubblicizzato”, che viene illustrato in mostra, dagli studi alla Scuola Tipografica Vigliardi Paravia, con l’insegnamento di Ezio D’Errico, al primo concorso, vinto da Testa a vent’anni per ICI-Industria Colori Inchiostri, nel 1937. Nel dopoguerra, i lavori per le grandi aziende come Martini & Rossi, Carpano, Borsalino e Pirelli. Senza dimenticare le creazioni per i grandi eventi nazionali, come le Olimpiadi di Roma del 1960, di cui realizzò il manifesto ufficiale, le ricerche sul cibo, anche riletto con ironia. E le campagne per Amnesty International, per il referendum sul divorzio, contro la povertà e la fame nel mondo, a citarne solo alcune. 


Poi, dipinti, sculture, disegni, insomma gli aspetti artistici e quel segno, lo stesso che a suo modo aveva rinnegato nella professione - «Io non cercavo un segno, uno stile, come i cartellonisti di allora: volevo gettarmi in nuove tecniche visive, passare dalla fotografia al disegno» - ma che mantenne, invece, da artista. Una visione a tutto tondo di un'Italia passata ma non superata – soprattutto mai dimenticata – che aveva il sapore del sogno. E che della fantasia sapeva fare “merce” da promuovere, ma anche, inaspettato, dono. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino