Caporalato all'azienda agricola Tresoldi, chiesti in tutto 25 anni di carcere

Secondo l'accusa Tresoldi avrebbe sfruttato contadini bengalesi
ALBIGNASEGO - Il processo, davanti ai giudici del Tribunale collegiale, in merito al presunto caporalato all’interno dell’azienda agricola “Tresoldi” di...

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ALBIGNASEGO - Il processo, davanti ai giudici del Tribunale collegiale, in merito al presunto caporalato all’interno dell’azienda agricola “Tresoldi” di Albignasego è arrivato alla fase conclusiva. Il pubblico ministero Benedetto Roberti, titolare delle indagini, ieri mattina ha formulato le sue richieste di condanna. Pesantissima quella per Walter Tresoldi, 54 anni di Abano e titolare dell’omonima azienda agricola. La Procura vuole una pena di 10 anni di reclusione e una multa di 30 mila euro.

GLI ALTRI

La richiesta per la romena Fanica Hodorogea di 52 anni, moglie di Tresoldi, è stata di 3 anni e 4 mesi. Quindi per il sospettato reclutatore di braccianti da impiegare nei campi, Robiul Karim Mintu, 49 anni, bengalese, la richiesta è stata di 5 anni e 6 mesi di reclusione, e una multa di 25 mila euro. Invece per i titolari marocchini delle società fittizie la pena formulata per il 44enne Taoufik Bougattaya e il 42enne Tarik Rabichi è stata di due anni, mentre per il 52enne Hamid El Kamili è stata di tre anni. Infine richiesta di assoluzione per il commercialista Renato Ruzzon, 67 anni, di Tribano, e la figlia Tania, 38enne, pure di Tribano, consulente del lavoro, entrambi difesi dall’avvocato Alberto Berardi. Le accuse formulate a vario titolo erano di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, in altri termini il caporalato, lesioni personali, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, omesso versamento di contributi previdenziali ed evasione connessa a denunce obbligatorie del datore di lavoro.

IN AULA

Nell’udienza del 2 novembre del 2020 è stata sentita la dottoressa Daniela Pascale dell’Ispettorato del lavoro di Padova. La sua è stata una testimonianza chiave. «Quella mattina dell’11 gennaio 2017 abbiamo trovato i lavoratori all’interno di una struttura, mentre tagliavano e preparavano i cipollotti per il confezionamento. Il tutto a meno due gradi sotto lo zero» ha dichiarato davanti ai giudici. E ancora: «Abbiamo appurato come questi lavoratori, la maggiore parte cittadini bengalesi, lavorassero dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana con una paga media giornaliera di 40 euro. Non avevano ferie e in caso di malattia non percepivano nulla. In seguito - ha concluso - abbiamo ipotizzato il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e lo sfruttamento del lavoro».

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Il Gazzettino