Capannone del Petrolchimico, trovato l'accordo: rimarrà "casa del lavoro"

Finita l'occupazione del capannone: teatro delle lotte sindacali da 52 anni
MESTRE - Sindacati e Comune hanno trovato l'accordo e lo storico capannone del Petrolchimico ha ritrovato casa. La casa del lavoro, della storia di Porto Marghera e dei suoi...

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MESTRE - Sindacati e Comune hanno trovato l'accordo e lo storico capannone del Petrolchimico ha ritrovato casa. La casa del lavoro, della storia di Porto Marghera e dei suoi occupati, del domani di un'area il cui futuro, in realtà, è tutto ancora da inventare. Per rispetto della forma ieri mattina alle otto sono stati i tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil veneziane a recarsi all'incontro con il Comune, e non i segretari e i delegati dei chimici di Cgil e Uil che dal 12 maggio scorso occupano l'edificio tra via Bottenigo e via Fratelli Bandiera, dal giorno in cui il Consiglio comunale ne ha approvato l'acquisto dall'Eni. La Cisl dei chimici, invece, aveva scelto la strada della mediazione proponendo già giorni fa la costituzione di un'associazione per gestire la struttura. L'occupazione, però, era scattata quando dal Consiglio comunale era uscita la volontà di aprire la sede, nata 52 anni fa per ospitare le assemblee sindacali, a tutta la città, per scopi quindi anche diversi da quelli legati al mondo del lavoro.

LE TAPPE
Nel consiglio comunale del 12 maggio l'assessore al Patrimonio Paola Mar aveva fatto inserire un emendamento per stabilire che proprio l'assessore «avrà mandato per definire le modalità di utilizzo degli spazi, in un percorso partecipativo con la comunità di Porto Marghera, le organizzazioni del lavoro, sindacali e di categoria». E tra i tanti che insorsero contro quello che venne definito uno scippo, il filosofo ed ex sindaco Massimo Cacciari disse che il Capannone deve continuare a «essere il Capannone e non si trasformi in qualche generico luogo di socializzazione. È un impegno culturale e politico: che Mestre continui a essere un centro produttivo, che al centro della sua vita continuino a esserci l'occupazione, il lavoro e le sue organizzazioni. Nessun'altra presenza deve abitarlo». Ieri è stato proprio il sindaco Luigi Brugnaro in persona, testimoniando così l'importanza della vicenda per la città, a ricevere i tre segretari generali di Cgil Cisl e Uil, Ugo Agiollo, Michele Zanocco e Igor Bonatesta per dire loro che la sua volontà è quella di «preservare il capannone come luogo del lavoro, e ha sottolineato l'esigenza di aprirlo, in maniera condivisa, alla città». Che cosa significhi aprire il capannone alla città lo si vedrà più avanti a partire dai prossimi giorni quando si avvierà un tavolo tecnico per definire la gestione dell'edificio. Ad ogni modo nella prima intesa raggiunta ieri si ribadisce che le organizzazioni sindacali hanno il compito di formalizzare una proposta scritta di protocollo che definisca ruoli, compiti e gestione futura del capannone del petrolchimico come luogo di memoria ma soprattutto di costruzione del futuro della città.

LA GESTIONE


A gestire fisicamente il capannone sarà un'associazione tra organizzazioni sindacali e amministrazione comunale. «Come organizzazioni sindacali - spiegano i tre segretari - abbiamo sempre ritenuto che quel luogo rappresenti la storia del movimento sindacale di Porto Marghera, ma che possa anche rappresentare ed essere un laboratorio di idee e di iniziative culturali e sociali per il nostro territorio». Pace fatta, dunque, tra amministrazione Brugnaro e rappresentanti dei lavoratori dopo un periodo di tensione che, del resto, è più che giustificata dato che quel capannone apparentemente insignificante, uguale a tanti altri, è denso invece di significati per un'area industriale che è stata una delle più importanti d'Europa e che da oltre trent'anni sta vivendo un declino che sembra inarrestabile e senza alternative: è in quel capannone che si sono decisi gli scioperi più importanti, che sono stati approvati sacrifici e chiusure, che è stato combattuto il terrorismo delle Brigate Rosse. Anche se Eni continua a chiudere impianti chimici, come il Cracking e gli Aromatici, e si è liberata del capannone, non è insomma il momento di pensionarlo, è una ferita e al contempo una strada ancora aperta. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino