Il Veneto vieta i cani alla catena e il Governo ricorre alla Consulta

Il Veneto vieta i cani alla catena e il Governo ricorre alla Consulta
VENEZIA - Non ci sono solo crisi e disoccupazione. In Italia c’è pure il serio problema della "cuccia di Fido". Questione sorta in Veneto ma che a Roma hanno...

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VENEZIA - Non ci sono solo crisi e disoccupazione. In Italia c’è pure il serio problema della "cuccia di Fido". Questione sorta in Veneto ma che a Roma hanno immediatamente stoppato, interessando nientemeno che la Consulta. Sissignori: la legge regionale del Veneto approvata tre mesi fa per vietare che gli animali d’affezione siano tenuti a catena, è stata impugnata dal Governo. Il ministero dell’Ambiente ha ritenuto che l’articolo riguardante le cucce dei cani sia incostituzionale. E ha fatto ricorso alla Consulta. A Palazzo Ferro Fini quando hanno visto le carte dell’Avvocatura generale dello Stato hanno faticato a crederci: con tutti i problemi che ci sono, Palazzo Chigi trovano il tempo di preoccuparsi dei recinti per i cani?


Leonardo Padrin, capogruppo di Forza Italia, nonché presidente della commissione Sanità, era stato il proponente della legge numero 17, approvata lo scorso 19 giugno, sul divieto delle catene per i cani. «Una legge di civiltà», aveva detto all’epoca Padrin, spiegando che con la nuova norma cani e animali di affezione "non potevano più essere sottoposti a strumenti di costrizione, se non per specifiche e accertate esigenze di sicurezza o veterinarie, e dovevano usufruire di appositi recinti di adeguate dimensioni, anche in deroga ai regolamenti urbanistici". Ecco, è stata proprio la previsione di una deroga agli strumenti urbanistici a portare il governo ad impugnare la legge. Secondo il ministero dell’Ambiente, infatti, le deroghe da parte della Regione andrebbero contro la normativa nazionale in materia di tutela ambientale, di cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva, nonché quella europea relativa alla tutela nell’ambito della Rete natura 2000.


«Avevamo già spiegato al ministero che non si voleva andare contro la legge statale né contro le direttive europee, tant’è che la materia doveva essere specificata dalla giunta con un apposito regolamento - ha detto Padrin - Comunque, a questo punto non ci resta che rivolgerci al premier Renzi: Matteo, non fermare la civiltà. Non ha senso impegnare la Corte costituzionale, troviamo una soluzione legislativa». Renzi, però, nel frattempo rischia di essere sommerso di mail (Padrin ha diffuso l’indirizzo: matteo@governo.it) e appelli via Twitter (@matteorenzi) e Facebook. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino