Camposampiero. Don Bosa lascia il duomo dopo 9 anni: «Una comunità impegnativa, ma tante gioie»

CAMPOSAMPIERO - Don Bosa lascia la sua comunità dopo nove anni
CAMPOSAMPIERO - Dopo nove anni di servizio pastorale, il parroco don Claudio Bosa domenica alla messa delle 10.30 nel Duomo di Camposampiero e alle 16 nella parrocchiale di...

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CAMPOSAMPIERO - Dopo nove anni di servizio pastorale, il parroco don Claudio Bosa domenica alla messa delle 10.30 nel Duomo di Camposampiero e alle 16 nella parrocchiale di Rustega saluterà ufficialmente le due comunità. Il sacerdote, originario di San Martino di Lupari e che si trasferirà a Castelfranco Veneto dove diventerà parroco e monsignore, rimarrà operativo fino al 22 ottobre. Dopo la celebrazione parrocchiale della Cresima ai ragazzi e qualche giorno di riposo lascerà la canonica il 28 ottobre.


 

Alla vigilia dell’ultima messa è tempo di bilanci.

«Nove anni sono tanti e sono pochi. Sono arrivato inaspettatamente e con timore a Camposampiero perché la “fama” della città era grande. Ho trovato una realtà complessa e ricca. Impegnativa ed esigente. Complessità in vari ambiti: innanzitutto religiosa in quanto nel territorio ci sono tre parrocchie, due santuari, quattro comunità religiose».


Una realtà complessa anche dal punto di vista parrocchiale?

«La realtà di San Pietro ha attraversato un secolo impegnativo con intraprendenza, slancio, innovazione, ma anche tradizione con don Rostirola e don Torresan. Importante è stato Don Pietro Fietta, mio insegnante, colto ed erudito, al quale ero chiamato a succedere. Con Don Guido Santalucia, poi, il passato era ancora vivo e ricchissimo di doni».
 

Che comunità ha trovato nove anni fa?

«La fisionomia pastorale vedeva un centro storico con tratti anche cittadini, e delle periferie con una connotazione più paesana. La domenica avevamo una centralità interessante e impegnativa con la presenza della catechesi. C’erano tanti gruppi: canto, scout, Azione Cattolica, Caritas. E un oratorio vivace anche se bisognoso di una ripartenza e una forte vocazione missionaria. Su questi ambiti mi sono impegnato. Ho sempre cercato di tenere viva la vita dei Consigli, pastorale ed economico».
 

Da tre anni è diventato parroco anche a Rustega. Che ambiente ha trovato?

«Ho potuto sperimentare il procedere del progetto Collaborazione pastorale. Purtroppo il calo dei preti rischia di non farne cogliere la valenza innovativa. Rustega è una comunità molto diversa da San Pietro, con tratti e dinamiche di paese che sono una forza da custodire e preservare. Non nascondo che questo passaggio, questa doppia appartenenza ha portato a fatiche nuove. Per fortuna molte di più sono state le gioie».
 

Ora è tempo di guardare avanti. Nutre qualche rimpianto? 

«Lasciare questa realtà, tante persone, percorsi conosciuti e ben avviati è fonte di sofferenza, ma il cambiamento è anche fonte di gioia. Sento che questo è il momento di lasciare molte mani, ma nessun cuore, per stringere altre mani e cuori».

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Il Gazzettino