Padova. La nuova vita di Marco Martinelli: da campione di pallavolo ai giocattoli Video

Stella del volley degli anni ‘90, dopo il ritiro ha aperto il negozio “Città del sole”

PADOVA - C’è stato un tempo fatto di allenamenti, sacrifici e rinunce. Un tempo in cui tutto veniva immolato sopra l’altare della pallavolo. Quel campo che poi...

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PADOVA - C’è stato un tempo fatto di allenamenti, sacrifici e rinunce. Un tempo in cui tutto veniva immolato sopra l’altare della pallavolo. Quel campo che poi alla fine ripagava con i successi e le vittorie, con i voli aerei in giro per il mondo e le medaglie. Uno sport che certe volte sapeva anche essere crudele, insegnando ad accettare la sconfitta e i propri limiti. Tanto ha imparato Marco Martinelli da questo sport, prima come uomo e poi come atleta. Dal 2008 però ha scelto di ripartire con una nuova avventura, appendendo le scarpe al chiodo e aprendo il negozio di giocattoliCittà del sole”. Da campione del mondo a imprenditore.

Come ci è finito?

«Sembrerà banale, ma la nascita di mio figlio mi ha cambiato la vita. Era il 2003 e come neopapà mi sono avvicinato al mondo dei giocattoli per scegliere i più adatti alla sua crescita: finì che furono loro a scegliere me. Così contattai “Città del sole” e nel 2008 ho aperto il mio primo negozio a Padova».

Qual è il ricordo più bello che le ha lasciato la pallavolo?

«Esistono momenti importanti a livello personale e altri a livello sportivo. Uno che sicuramente li racchiude entrambi è la vittoria dei mondiali del 1990, la mia prima vittoria».

Qual è stato il segreto di quella squadra, la generazione dei fenomeni? Le sole qualità tecniche o anche uno spirito innato?

«Sicuramente sono state annate che hanno prodotto giovani talenti, questi ragazzi hanno avuto modo di dimostrare il proprio valore, prima nel campionato italiano e poi a livello internazionale».

Con gli ex compagni di nazionale vi sentite ancora?

«Abbiamo il nostro gruppo Whatsapp ed è lì che ci sentiamo più spesso. L’ultima volta ci saremmo dovuti vedere nel 2020, perché ricadeva il trentennale dalla vittoria del mondiale, ma purtroppo a causa della pandemia è saltata. Un peccato».

La pallavolo maschile negli ultimi anni è stata sempre ai vertici…

«Sì, anche se qualcosa è andato perso secondo me. Negli ultimi quindici anni, da quando è aumentato il numero di giocatori stranieri in campo, alcuni ragazzi italiani hanno trovato meno spazio. Per cui emergono quelli più forti, mentre chi ha comunque un buon livello soffre la concorrenza e viene impegnato meno».

Ha giocato a Padova sette stagioni: i tifosi quando la incrociano per strada la riconoscono ancora?

«Sì, ho l’occasione di incontrare ancora molti tifosi che seguivano il Petrarca in quegli anni. Alcuni nel tempo sono diventati miei clienti e quindi li vedo in negozio».

Lei con la pallavolo è arrivato a toccare il tetto del mondo, come mai non è rimasto in quell’ambiente?

«Per una ragione abbastanza semplice: eravamo talmente tanti a essere arrivati a un livello così alto che era impensabile potessimo restare tutti a fare gli allenatori. Per un periodo ho allenato: a Ferrara in serie B, poi a Genova e ho fatto il secondo a Vibo Valentia in A1. Dopo ho dovuto fare una scelta di vita e ho deciso di stare accanto alla famiglia».

Dal gioco è passato a gestire un negozio di giochi, qual è il suo preferito?

«Ho avuto un’infanzia totalmente diversa rispetto a quelle di oggi. Trascorrevo moltissimo tempo all’aria aperta e forse il pallone era il mio giocattolo preferito. Con quello ci sfogavamo in oratorio in tutti i modi possibili: calcio, basket, pallavolo, pallamano. Ma quel tempo ormai è finito».

Cos’è cambiato?

«Viviamo in un ambiente meno sicuro. Quindi un genitore, specialmente in città, cerca di fare attenzione a dove va il figlio a giocare. Non ci sono più la libertà e le opportunità di cui disponevamo allora, anche l’oratorio stesso adesso si è svuotato».

Che piacere le trasmette fare questo lavoro?

«Dà grande soddisfazione consigliare bene le persone, il saper suggerire bene al cliente paga nel tempo. Questo lo noti quando poi torna».

La clientela di oggi che tipo di giocattoli cerca?

«Spesso la scelta ricade su prodotti che stimolano la creatività. L’aspetto a cui si sta più attenti è concepire il gioco come fonte d’apprendimento, perché i bambini attraverso il gioco imparano nuove cose».

Quanto è difficile gestire un negozio di giocattoli in questo momento?

«Negli ultimi anni tra le chiusure, la guerra in Ucraina e la questione energetica ne abbiamo viste di tutti i colori. Anche se l’aspetto che più mi preoccupa è il continuo calo demografico: l’instabilità a livello lavorativo porta le persone a procrastinare la costruzione di una famiglia».

La vita da atleta le ha dato una mano come imprenditore?

«Ci sono delle similitudini: si lavora allo stesso modo giorno per giorno e si cerca d’imparare tanto. Anche qui il modo più rapido con cui io ho appreso è stato sul campo, confrontandomi con le persone».

 

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Il Gazzettino