Bruno, killer della moglie: «Un errore, non fate come me»

Bruno Casagrande
SPRESIANO (TREVISO) - «È successo e ora cerco di andare avanti»: a parlare è Bruno Casagrande, 74 anni e un omicidio alle spalle, quello della moglie Maria Luigia Breda,...

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SPRESIANO (TREVISO) - «È successo e ora cerco di andare avanti»: a parlare è Bruno Casagrande, 74 anni e un omicidio alle spalle, quello della moglie Maria Luigia Breda, commesso il 16 dicembre 2005 a Lovadina di Spresiano. Oggi, dopo una condanna per omicidio volontario aggravato, è un uomo libero. Avrebbe dovuto rimanere in ospedale psichiatrico 10 anni perché ritenuto incapace di intendere e volere, una misura alleggerita fino alla revoca disposta dal tribunale di sorveglianza.








L'ex meccanico continuerà a vivere nella cooperativa Alternativa sociale di Villorba dove ha passato gli ultimi tre anni della sua vita. Modi affabili e pacati, l'uomo è stato intervistato da Antenna Tre proprio nella struttura dove vive. Davanti alla telecamera ha ripercorso i minuti di quella sera di dicembre di 9 anni fa. «Di colpo mi sono girato e l'ho colpita con il bottiglione che avevo in mano».



Il litigio in cantina, secondo gli inquirenti, era stato uno dei tanti che nell'ultimo periodo avvenivano dentro la villetta. Per gli psichiatri è un episodio superato, tanto che le valutazioni hanno portato al termine di ogni restrizione. Per Maria Luigia quel colpo fu fatale. Per lui scattò invece l'arresto dei carabinieri. Nove anni dopo i suoi occhi chiari sono velati di lacrime. Racconta di essersi pentito, di aver capito di aver fatto la cosa sbagliata. «Non è così che si fa, si deve parlare e dialogare e uno prende una strada, uno va da un'altra parte». Racconta che tornando indietro non rifarebbe quello sbaglio, suggerisce il dialogo come via per risolvere i conflitti. Parole che difficilmente basteranno a consolare i familiari e gli amici della donna.



«Togliere il respiro a un'altra persona è sempre brutto e non si fa neanche a un animale». Nell'intervista Casagrande ha anche ripercorso gli anni dell'emigrazione quando da giovanissimo è partito per Torino e si è affacciato sul baratro della malattia. «Bastava qualche pastiglia e invece mi hanno mandato in depressione. Ed è proprio in questo contesto che è avvenuto il reato». Ora però l'uomo tenta di tornare alla sua vita. Nonostante un omicidio alle spalle, nonostante una condanna per omicidio. Da uomo libero. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino