Latteria di Bolzano bellunese: quando il formaggio era solo uno, ma "doc"

Roberto De Moliner racconta la storia della latteria di Bolzano, chiusa 40 anni fa
LA STORIA BELLUNO Erano rimasti in pochi a produrre il latte. E, giusto 40 anni fa, si guardarono negli occhi: meglio chiudere. Finiva così la storia della latteria sociale...

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LA STORIA BELLUNO Erano rimasti in pochi a produrre il latte. E, giusto 40 anni fa, si guardarono negli occhi: meglio chiudere. Finiva così la storia della latteria sociale di Bolzano bellunese. Ora rimane il piccolo museo a testimoniare uno stile di vita: ecco i libretti, dalla pagina azzurrina un poco sgualcita, che attestano i litri versati mattina e sera. Stanno dentro un mobile in legno, accanto al burcio e alla foto dei quattro casari: Umberto De Min, Dino De Martin, Luigi Cassol, Alfredo Mares. «In realtà lo Statuto, redatto dai cinquanta soci fondatori nel 1932, prevedeva che la Società rimanesse in vita mezzo secolo. Per questo motivo i loro eredi tennero duro ufficiosamente per altri mesi, fino al 1982, prima di chiudere definitivamente l’attività», precisa Roberto De Moliner, presidente del Comitato Usi civici di Bolzano e Vezzano.

GLI ANNI D’ORO

Il picco di soci si registrò nel 1957, con 122 piccoli produttori della zona: ognuno aveva dalle due alle cinque mucche. E due volte al giorno portavano il latte che diventava quel burro e quel formaggio che alla domenica mattina, una volta al mese, rigorosamente dopo la messa, andavano a ritirare, in base alla propria quota, cioè proporzionalmente ai litri conferiti. «Non esistevano tanti tipi di formaggio, come oggi. Ce ne era uno solo: il formaggio della Latteria sociale di Bolzano. Fatto con il latte che proveniva dalle stalle, di le Valli, Gioz, i Pascoli», aggiunge De Moliner il cui bisnonno, Elia, era stato tra i fondatori.

IL RECUPERO

Quarant’anni fa la chiusura. E l’abbandono, con il tempo che ha portato al degrado dell’edificio, esterno ed interno. Fino a quando i discendenti dei pionieri se lo presero a cuore. Primo passo: l’assemblea degli eredi chiese la messa in liquidazione dell’immobile. «Poi il Consiglio di quartiere, nel 1998, approvò un documento che aveva in allegato il progetto per il recupero dell’ex latteria, con lo scopo di trasformare l’edificio in centro sociale a vantaggio della frazione, tanto più che l’ex asilo Dartora, dopo che le suore se ne erano andate, era occupato dal Ceis», racconta De Moliner, per 24 anni consigliere comunale a Palazzo Rosso. Non facile arrivare all’obiettivo. I vari nodi vennero sciolti dal sindaco Ermano De Col, nel 2003: la giunta deliberò l’acquisto per l’importo di 25mila euro, versati al liquidatore, con gestione affidata dal Comune al Comitato Usi civici di Bolzano e Vezzano. Altro passaggio importante: l’assemblea dei soci decise di devolvere il dividendo a favore dell’arredo e della manutenzione ordinaria. A ciò si aggiunse lo stanziamento, da parte dell’amministrazione Prade, di 10mila euro per il recupero museale. «Ma sono i paesani a non aver mai mollato, condividendo l’obiettivo», sottolinea De Moliner.

IL CENTRO Ora nell’ex latteria c’è una accogliente sala per conferenze ed eventi ed è sede di ben sette associazioni. E se la vasca con l’acqua corrente risulta smantellata, sono rimasti, però, strumenti ed attrezzi. E dentro al cassettone i documenti di una storia recente che pare lontana. Come le ricevute delle azioni: nel 1943 occorrevano 100 lire per comprarne una. Daniela De Donà 

 

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Il Gazzettino