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ROVIGO - La sua vita è durata appena tre mesi, prima di spegnersi all'ospedale di Padova. Secondo la Procura di Rovigo, si tratterebbe di un caso di "sindrome del bambino scosso", lesioni provocate dallo scuotimento da parte della madre. Una donna di nazionalità marocchina che, proprio per l'ipotesi di reato di maltrattamenti aggravati dalla morte del figlio, è stata arrestata ed accompagnata in carcere mercoledì scorso dalla Squadra mobile. Sono stati i medici di Padova a segnalare il fatto ai magistrati di Rovigo, perché la mamma è residente in Polesine: le lesioni riscontrate sul neonato sono apparse incongruenti rispetto al suo racconto.
LE INDAGINI
In particolare sarebbe emersa una "evidenza di traumatismi cerebrali e midollari con encefalopatia ipossico-vachemica": lesioni ritenute incompatibili con la versione della donna e compatibili invece con le dinamiche tipiche della sindrome del bambino scosso, con trauma cranico abusivo. Il che si verifica scuotendo un bambino molto piccolo, generalmente con lo scopo di fermarne una crisi di pianto. A quell'età basta pochissimo: il cervello, di consistenza ancora gelatinosa, sbatte all'interno del cranio e le conseguenze, anche se tutto avviene in pochi secondi, possono essere terribili, dal danno neurologico permanente fino alla morte del bimbo.
I PRECEDENTI
Francesco Noce, presidente dell'Ordine dei medici di Rovigo e segretario della Fimmg, osserva: «Si tratta di una doppia tragedia, perché sicuramente non era questo l'esito che la mamma voleva. Al di là di raptus momentanei, il senso di protezione della prole è connesso alla natura della madre. Il bambino che piange ininterrottamente viene scosso, generalmente senza comprendere che questo può avere conseguenze gravissime. Evidentemente, ci sono però dietro situazioni psicologiche da non sottovalutare, come le sindromi depressive post partum, che possono portare a gravi conseguenze. È necessaria un'opera di prevenzione ed informazione su questo fronte, così da far sì che si riescano a individuare i segnali di rischio e scongiurare situazioni che possono portare a simili drammi». Non si tratta del primo caso di questo tipo in provincia di Rovigo: il 5 febbraio 2016 Daniel Plamadeala si era spento a 6 mesi, mentre era ricoverato in coma all'ospedale di Padova per le conseguenze delle lesioni riportate il precedente 23 gennaio, all'interno dell'appartamento di via Pascoli, a Rovigo, dove si trovava con la mamma, mentre il padre era appena uscito per andare a lavorare. La donna nel giugno del 2020 è stata condannata in primo grado a 12 anni dalla Corte d'Assise di Rovigo. Un altro caso, senza conseguenze letali ma con gravi ripercussioni dal punto di vista neurologico, è quello che risale al 15 febbraio 2010, quando un bambino di appena 4 mesi era stato portato in coma all'ospedale, per le conseguenze delle lesioni riportate mentre si trovava in casa a Rosolina solo con il padre, poi condannato in primo grado a 12 anni e 6 mesi per maltrattamenti e lesioni personali pluriaggravati.
Il Gazzettino