San Pietro in Gu. Bimbo di 6 anni annega in piscina, al processo parlano i primi testimoni. Tra gli imputati anche mamma e papà

Christian Menin ha perso la vita nel 2021 nell'impianto comunale natatorio di San Pietro in Gu

Christian Menin
SAN PIETRO IN GU (PADOVA) - Il processo per la morte del piccolo Christian Menin, annegato in piscina, è iniziato nella giornata di venerdì. Davanti al giudice del...

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SAN PIETRO IN GU (PADOVA) - Il processo per la morte del piccolo Christian Menin, annegato in piscina, è iniziato nella giornata di venerdì. Davanti al giudice del Tribunale monocratico hanno testimoniato due militari dell’Arma. La prossima udienza è stata fissata per il 5 dicembre. In quell’occasione saranno sentiti altri due carabinieri, e il medico legale Andrea Porzionato nominato dalla Procura. In cinque sono finiti a giudizio per omicidio colposo. Sono i genitori del bimbo di appena sei anni e mezzo, Emanuele Menin di 32 anni e la moglie Lisa Toniato di 27, residenti a Limena e difesi dall’avvocato Lorenza Denaro. Quindi Michela Campana, 42 anni di Bassano del Grappa, amministratore unico e legale rappresentate della società Conca Verde Piscine gestore dell’impianto comunale natatorio di San Pietro in Gu. Infine il responsabile dei bagnini Diego Poletto, 44 anni di Bassano del Grappa, e la bagnina Maya Serraglio di 22 anni residente a Bressanvido in provincia di Vicenza. Tutti e tre sono difesi dal legale Leonardo Maran.

La morte di Christian: le accuse

L’inchiesta condotta dal pubblico ministero Roberto D’Angelo, titolare del fascicolo, avrebbe dimostrato come quel 9 agosto del 2021 Christian, sia sfuggito al controllo di mamma e papà, e anche di due bagnini. Inoltre, ancora secondo l’accusa, Christian sarebbe stato soccorso dopo cinque interminabili minuti, troppo tardi per strapparlo alla morte. Secondo l’accusa i genitori di Christian sapevano che il figlio non sapeva nuotare e lo hanno lasciato da solo vicino alla piscina, profonda dai 110 ai 120 centimetri, senza assicurarsi che indossasse appositi strumenti di salvataggio. Poletto invece non avrebbe predisposto un adeguato e idoneo servizio di tutela e sorveglianza degli utenti al fine di garantire l’incolumità fisica. E poi non sarebbe intervenuto in maniera tempestiva per cercare di strappare alla morte il piccolo. Maya Serraglio, ancora per l’accusa, avrebbe dovuto sorvegliare con maggiore attenzione la vasca e anche lei sarebbe intervenuta troppo tardi per provare a salvarlo. Infine Michela Campana non avrebbe predisposto i segnali di pericolo profondità nello spazio d’acqua. 

Davanti al giudice ha testimoniato il carabiniere che per primo ha visto il corpo senza vita del piccolo. E poi il suo collega che si è occupato di effettuare tutta una serie di controlli nella vasca dove si è consumata la tragedia. 

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Il Gazzettino