Bimba nata morta, risarciti i quattro nonni: «È stata frustrata la loro aspettativa»

La culla vuota
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BOLZANO  - Oggi sarebbe una studentessa di terza media, alle prese magari con la didattica a distanza, i problemi dell'adolescenza, le emozioni della vita. Ma purtroppo la sua esistenza non cominciò mai: 14 anni fa quella creatura tanto desiderata nacque morta, «a causa di uno stato di protratta sofferenza ipossica endouterina» non diagnosticato durante il travaglio, tanto che un'ostetrica dell'ospedale civile di Bolzano venne condannata per colpa professionale. Ora però a pagare sarà anche l'azienda sanitaria, risarcendo con 80.000 euro i genitori della sua mamma e del suo papà, in quanto «hanno visto totalmente frustrata la loro aspettativa a poter diventare nonni ed a veder nascere e crescere un legame parentale ed affettivo con quella che sarebbe dovuta essere la loro nipote», come si legge nella sentenza del Tribunale altoatesino.

IL PARTO
Il dramma risale all'autunno del 2007. Alla sua prima gravidanza, «decorsa in assenza di complicanze durante il periodo di gestazione e giunta a termine», una 28enne venne ricoverata per dare alla luce la bambina. «Trattandosi di una partoriente considerata a basso rischio in fase attiva di travaglio di parto, stante l'assenza di fattori di rischio materno-fetali, corretto è stato l'iniziale affidamento del caso ad un'ostetrica in completa autonomia», premettono i giudici della seconda sezione civile. Ma qualcosa durante il monitoraggio andò storto: «L'ostetrica, di fronte ad un tracciato che deviava dalla normalità (tracciato sospetto) o che addirittura non era leggibile, avrebbe dovuto allertare la figura medica che avrebbe preso i provvedimenti del caso».
Secondo la consulenza tecnica disposta dal Tribunale, «una più accurata sorveglianza del benessere fetale avrebbe consentito di individuare l'insorgenza della sofferenza ipossica con possibilità sia della rimozione della causa che la determinava (per esempio eventuale tachisistolia) sia della sottrazione del feto all'ambiente intrauterino diventato ostile (per esempio mediante taglio cesareo)». Così invece non avvenne e furono tragicamente vani 25 minuti di manovre rianimatorie.

IL DANNO
Terminato il procedimento penale, nel 2016 cominciò la causa civile, intentata non dai due genitori bensì dai quattro «potenziali nonni», aggettivo che i giudici precisano di usare «a ragion veduta» in quanto si tratta «di ipotesi di morte del feto, non già di decesso di neonato». I magistrati osservano infatti che, non essendoci stata una nascita, «non potrà parlarsi di lesione di rapporto parentale alcuno, poiché alcun legame può venirsi a creare con una creatura mai venuta ad esistenza». Non a caso l'azienda sanitaria, dopo aver proposto una transazione di 5.000 euro a testa, aveva rigettato la richiesta di risarcimento formulata in giudizio.


Ma per il Tribunale, c'è stato comunque un danno: «la condotta del personale», causando la morte del feto, «ha portato con sé la conseguenza della totale recisione della possibilità», da parte dei quattro nonni, «di poter vedere nascere la loro nipotina e di poter coltivare con lei un solido legame affettivo (legame particolarmente importante quale quello tra nonni e nipote per l'appunto), interesse questo sicuramente ancorato nei valori della Carta costituzionale». Per quella «perdita di chance», è stato ritenuto equo riconoscere a ciascuno di loro 20.000 euro, per un totale di 80.000, più altri 19.573,83 di spese legali.
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Il Gazzettino