PADOVA - Sale a cinquantuno la conta delle vittime del Coronavirus in provincia di Padova. Ieri non ce l’hanno fatta altre quattro persone. All’ospedale di...
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Trentuno i pazienti più gravi in Terapia intensiva (+2), 93 i dimessi (+4) e tredici i decessi. Salgono a 123 i ricoveri in reparto all’Ospedale di Schiavonia (+6), stabili i 22 pazienti in terapia intensiva, crescono a 48 i dimessi (+5) e 23 i decessi (+3). All’ospedale di Cittadella ci sono solo sei pazienti positivi al Covid 19 in Terapia intensiva (+2). Spostandosi all’ospedale di Camposampiero si trovano altri due pazienti in area non critica, stabili, e un unico decesso. Dall’otto marzo gli ospiti della casa di riposo “Pietro e Santa Scarmignan” di Merlara sono stati decimati a causa del diffondersi del virus. Finora sono deceduti sedici anziani. Il primo ad andarsene è stato Nerone Ugo Melato, 89 anni, di Saletto di Borgo Veneto. Il 15 marzo è stata la volta di Camilla Costantini, 98 anni, originaria di Saletto. A poche ore di distanza è mancata Leda Bertomoro, una 90enne che già da qualche mese soffriva di pesanti patologie. Tra gli ospiti ha perso la vita anche Ottaviano Correzzola, 79 anni, ricoverato da qualche giorno a Schiavonia. A seguire Zefferino Baldo, 85enne di Carceri e Norina Boraso, 94enne Medaglino San Fidenzio, località Borgo Veneto. Il 21 marzo non ce l’ha fatta Narciso Ferrarato, 82 anni, originario di Montagnana. Stessa sorte per Jolanda Berto, 79 anni, di Monselice. Il 22 sono morti due 93enni: Carla De Tomi, originaria di Castelbaldo e Bruno Pasquatto, di Saonara. Martedì sono spirati l’86enne Ferruccio Zerbini di Rovigo, l’89enne Luigina Gennaro di Ponso e la 91enne Rita Lazzari di Ponso. Sei invece le vittime del centro servizi per anziani di Monselice.
In prima linea in quest’emergenza sanitaria non ci sono solo medici e infermieri, ma anche tanti amministrativi, che tra conti e burocrazia hanno il compito di far funzionare tutto alla perfezione. Non senza rischi. Lo racconta un’impiegata della sanità padovana, che preferisce rimanere anonima. «Il più delle volte siamo laureati, non arriviamo a 1.500 euro al mese, eppure siamo stati precettati per l'unità di crisi – scrive -. Non siamo al fronte, ma nelle retrovie. Siamo il Provveditorato, deputato all'acquisto di ogni tipologia di articolo. Noi non siamo chiamati eroi. Siamo solo degli isterici attaccati ai computer alla ricerca disperata di beni di prima necessità. Noleggiamo una tac in 3 giorni e la facciamo arrivare da Amsterdam. Ma non siamo nessuno, siamo impiegati. Gli orari impossibili li stiamo facendo anche noi per dar modo ai sanitari di poter lavorare. Mascherine, farmaci, ventilatori polmonari, umidificatori ad alto flusso, saturimetri e tutto ciò che serve ad un ospedale affinché funzioni. Niente smart working, bloccato il congedo ordinario. Dobbiamo rispondere ai reparti, condurre un'indagine di mercato, approvvigionare il bene in tempi velocissimi. Abbiamo colleghi magazzinieri che consegnano quotidianamente al reparto (con mascherine ridicole), pronti a portare pc o termometri ad infrarossi alle tendopoli a qualsiasi ora». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino