Biagio Zulian, l'eroe di Candia che sfidò gli Ottomani

Biagio Zulian (nascita sconosciuta - 1645) - Il ritratto di Matteo Bergamelli
Pur con tempi e modalità diverse, la conquista ottomana di Cipro e Candia veneziane ebbe alcuni paralleli singolari. A Cipro la conquista di Nicosia del 1570 aveva dato...

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Pur con tempi e modalità diverse, la conquista ottomana di Cipro e Candia veneziane ebbe alcuni paralleli singolari. A Cipro la conquista di Nicosia del 1570 aveva dato inizio a tredici mesi di guerra, e l'ultimo baluardo della città a soccombere era stato il castello di San Teodoro. Fra le donne ridotte in schiavitù e in attesa di essere tradotte a Costantinopoli vi fu Bellisandra Maraviglia, che dando fuoco alla polveriera della nave su cui era stata imbarcata trascinò con sé centinaia di turchi assieme alle altre prigioniere, divenendo un'eroina del suo tempo.


Il secolo successivo fu il turno di Candia, ovvero Creta, da secoli dominio della Serenissima e da sempre nelle mire della Sublime Porta per la sua posizione strategica. E fu l'occasione per vedere in azione Biagio Zulian, che rinfrescò il mito di Bellisandra divenendone – suo malgrado – l'alter ego maschile. E se a Nicosia il castello di San Teodoro fu l'ultimo a essere attaccato, a Candia un forte che portava lo stesso nome ebbe il dubbio privilegio di aprire le danze.

Tutto ebbe inizio nel luglio del 1645, dopo che alcune navi maltesi avevano depredato i galeoni dell'Agà eunuco Zambul, mentre questi era diretto alla Mecca. Dichiarata guerra a Malta, l'impero ottomano fece uscire dal Bosforo settantacinque galee, più altre centinaia tra fuste, saiche, galeotte e altre imbarcazioni. Una flotta sterminata che il 24 luglio diresse senza esitazioni verso Candia, prendendo a pretesto il fatto che la Serenissima aveva lasciato aperto un varco alle navi maltesi nel corso della loro fuga.



I veneziani non erano così sprovveduti da non attendersi una qualche ritorsione da parte del Turco, e avevano già rinforzato le difese; ma quando all'orizzonte si profilarono le trecentosettanta vele poste sotto il comando di Mussà Bassà, fu chiaro che non sarebbe stato possibile impedire lo sbarco e si preferì risparmiare armi e uomini preparandosi a un assedio (destinato a protrarsi per oltre due decenni). L'armata ottomana sbarcò quasi totalmente indisturbata a circa due miglia dal fortilizio, e la sera stessa Bassà decise di levarsi il pensiero del forte di San Teodoro.

Così, mentre la maggior parte dei suoi quarantamila uomini si accampava, diresse una parte dell'esercito e alcune decine di grossi cannoni verso lo scoglio di Agios Theodoroi, che aveva una rocca priva di difese sulla sommità – la Turlulù – utilizzata per l'avvistamento delle navi, e un forte – San Teodoro appunto – che guardava verso terra e serviva anche da lazzaretto per la città fortificata di Canea. In quel momento a presidiare il forte vi erano settantacinque soldati veneziani, in gran parte Schiavoni, capitanati da Biagio Zulian (trascritto a volte come Zuliani, o Giuliani), nativo di Capodistria. Tra le mura, un solo cannone.

Sembrava una preda facile, ma i primi due assalti andarono a vuoto, con perdite significative fra gli assalitori; nondimeno, la situazione era tutt'altro che rosea: quasi metà della guarnigione era morta o ferita, le munizioni iniziavano a scarseggiare ed era chiaro che nessun aiuto sarebbe potuto giungere dalla Canea, posta tra il forte e lo sterminato accampamento turco. Anche le mura di San Teodoro, colpite a ripetizione dai cannoni ottomani, avrebbero ceduto di lì a poco.

Consapevoli che nessuno di loro sarebbe sopravvissuto, e che forse era anzi preferibile morire che vivere come schiavi per il resto della vita, gli uomini iniziarono a scavare febbrilmente una grande fossa al centro del cortile, che fu riempita di tutta la polvere da sparo rimasta e di ogni oggetto metallico che si potesse trasportare. Quindi, in questa trincea improvvisata, i quaranta uomini superstiti attesero il terzo assalto. Accanto a Zulian, che teneva una torcia accesa per dare fuoco alle polveri, anche la moglie e i figli, che vivevano col capitano all'interno del forte.


I turchi fecero breccia e avanzarono di corsa a centinaia, verso il drappello dei veneziani. Una corsa verso la morte, visto che nell'esplosione ne morirono cinquecento, lasciandone molti altri feriti. Fu un atto eroico e simbolico, che diede formalmente inizio alla guerra di Candia, destinata a durare venticinque anni. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino