Nuovo documentario su Netflix. Bebe Vio: «Noi campioni paralimpici siamo come supereroi»

Bebe Vio
TREVISO - Hanno corpi elastici, braccia e gambe di metallo, muscoli da lottatori e cervelli allenati alla disciplina - fondamentale sul campo se sei un atleta, e indispensabile...

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TREVISO - Hanno corpi elastici, braccia e gambe di metallo, muscoli da lottatori e cervelli allenati alla disciplina - fondamentale sul campo se sei un atleta, e indispensabile nella vita, se sei il portatore di un handicap. Protagonisti di Rising Phoenix (letteralmente: fenice che risorge), il documentario di Netflix sulle paralimpiadi distribuito dal 26 agosto, i nove atleti raccontati dai registi Ian Bonhôte e Peter Ettedgui sono campioni mondiali fuori dalla norma per fisico e prestazioni. Persone stra-ordinarie che stracciano record e scalano il podio (para)olimpico con la fierezza di chi può affermare, senza contraddittorio: «Siamo come gli Avengers. Siamo supereroi». Lo dice in apertura del film la nostra Bebe Vio, campionessa veneta di scherma senza braccia e gambe dall'età di undici anni, che nel racconto ha il ruolo di musa e simbolo della rinascita vissuta da ciascuno dei protagonisti: «La storia delle paralimpiadi è la storia di tante persone con sfighe diverse, che nonostante tutto spaccano il mondo - racconta Vio, oggi 23enne, in collegamento dalla spiaggia in Toscana dove sta trascorrendo le vacanze - li guardi e pensi: se ce l'hanno fatta loro posso farlo anche io. A me è successo vedendo Alex Zanardi: vorrei trasmettere questa lezione anche ai bambini. Vorrei che non si vergognassero più delle protesi, ma potessero considerarle lo strumento che li trasforma in supereroi». 


L'INVENZIONE
Non solo di Oscar Pistorius e Alex Zanardi (entrambi nel film, il secondo in un cameo) è fatta la storia delle olimpiadi alternative, inventate nel 1948 dal neurochirurgo Ludwig Guttmann: tra le star del film, tra gli altri, spiccano l'aggraziata nuotatrice senza una gamba Ellie Cole, il saltatore mutilato nella guerra del Burundi Jean-Baptiste Alaize, il velocista inglese Jonnie Peacock, riuscito a battere sul campo il suo stesso idolo - caduto in disgrazia e oggi in carcere per l'omicidio della fidanzata - Oscar Pistorius. Un nome, quello di Pistorius, che torna anche nei ricordi di Vio: «L'ho conosciuto a 11 anni, lui ne aveva 23. È stato il primo a dirmi: vai, divertiti e goditi la vita. Per me Oscar è come un fratello. Zanardi una specie di papà. Mi hanno fatto capire che potevo fregarmene dei limiti del fisico. Indipendentemente da quel che gli è successo, sono pietre miliari dello sport». 

Medaglia d'oro alle Paralimpiadi di Rio, con uno spettro di fan che spazia da Barack Obama a Jovanotti, per Vio oggi i problemi per gli atleti con handicap si riducono a due variabili: «L'ignoranza, ma non in Italia: non è un caso che le prime paralimpiadi siano state fatte a Roma. E poi i soldi: una carrozzina per allenarsi costa, e lo stato non te la passa a meno che tu non abbia già conclamati meriti sportivi». Programmato per uscire insieme alle Paralimpiadi di Tokio, poi rimandate («La mia gara sarebbe stata il 26, se ci penso piango»), Rising Phoenix risuona comunque con il periodo di resilienza imposto dalla pandemia: «È un momento difficile per tutti. Qui in vacanza ho visto la gente affollarsi in fila il giorno prima che chiudessero le discoteche. Non mi è sembrata una mossa molto intelligente. Anche le spiagge sono piene. Io cerco di usare ogni cautela: a settembre voglio tornare ad allenarmi». Prossimo appuntamento, Tokio 2021: «Ma le date non sono ancora confermate», spiega Vio, che annuncia di avere in cantiere un altro progetto legato alla tv, ancora da definire in termini di tempi e rete. «I produttori stanno sviluppando una serie basata sui nove protagonisti del film e sulla squadra con cui mi alleno. L'intenzione è quella di raccontare la quotidianità degli allenamenti che precedono le Paralimpiadi».
Ilaria Ravarino
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Il Gazzettino